Titolo: Haunter
Titolo originale: Haunter
Canada: 2013. Regia di: Vincenzo Natali Genere: Horror Durata: 97'
Interpreti: Abigail Breslin, Michelle Nolden, Peter Outerbridge, Peter DaCunha, Stephen McHattie, David Hewlett, Samantha Weinstein, Eleanor Zichy
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Nelle sale dal: Inedito
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Ossessivo
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Horror di una qual raffinatezza,"Haunter",del regista canadese Vincenzo Natali,è uno di quei lavori che si fanno notare nella plaetora delle produzioni di fabbrica,appunto per l'eleganza del proprio portamento,una caratterialità quieta e sobria che firma contenuto e valenza,senza chiasso e troppi rumori.
Uscito negli USA in una manciata di sale e in contemporanea in VOD,"Haunter" merita il plauso sia per l'aggraziata discrezione che lo contraddistingue,sia per il pacato stile della sua personalità,doti non comuni nel dizionario del cinema della paura.
Lisa (Abigail Breslin) è una introversa ragazzina che si accorge di essere l'unica della sua famiglia a capire che ogni giorno,con ossessiva ripetitività,si ripresentano puntualmente gli stessi eventi del giorno prima.
Ad ogni sorgere del sole,dal suo risveglio,la ragazza rivive gli stessi fatti vissuti nel giorno del suo sedicesimo compleanno,senza che nè il padre (Peter Outerbridge),nè la madre (Michelle Nolden),nè il fratellino (Peter DaCunha) abbiano coscienza della ripetizione degli stessi eventi nell'appartamento dove in realtà la famiglia era stata massacrata anni prima.
Mentre cerca di fornirsi di una spiegazione,Lisa avverte la presenza di una coetanea,lo spirito di Olivia, una ragazza che abita nel presente con la sua famiglia nella casa.
Continuando ad indagare,Lisa scopre che l'abitazione apparteneva un tempo ad Edgar Mullen (Stephen McHattie),un serial killer che rapiva ed uccideva giovani adolescenti e ne bruciava i corpi nel forno e ora divenuto una presenza malefica che infesta la casa.
L'impianto della storia,scritta da Brian King,si dipana in un dedalo di eventi e riproposizioni che portano lo spettatore nel labirinto delle possibilità soprannaturali,come in un empireo astratto dove la paura trova corpo nell'incertezza dell'invisibile.
Suggestivo ed intrigante,il lavoro di Natali ha il merito di distinguersi per personalità e modo,senza preoccuparsi troppo dei richiami,del tutto leciti in queste condizioni, ai lavori di genere,da "Insidious" a "The Conjuring",da "Sinister" a "Haunting in Connecticut",da "Amabili resti" a "The Ring",da "Poltergeist" a "Shining",o del cinema Sci-Fi,come "Source Code" o "Ricomincio da capo".
Shyamalan aveva già parlato di gente che non sapeva di essere morta e "Il sesto senso" si era aggrappato alle viscere delle platee per la narrazione struggente ed empatica di un ragazzino che "vede la gente morta" ed un uomo che non sapeva di non essere più vivo.
In maniera altrettanto pregevole Natali racconta questa Ghost Story con quieta padronanza,in una composta eleganza,senza caciarra o sussulti e a volume sommesso,impostando il ritmo narrativo su movimenti di camera e lunghe occhiate al senso del divenire e prestando attenzione a dettagli e particolari,per usarli come linguaggio del sovrannaturale.
L'ingresso nel labirinto è lento e misurato e questo fa della prima parte del film la porzione certamente più interessante.
Il regista compone il lavoro secondo l'economia dell'attesa,lasciando allo spettatore la percezione della sospensione,come un fiato non liberato o un suggerimento incompleto e scivola con l'obiettivo dagli spazi svuotati de dialoghi superflui ai volumi d'ambiente saturi di ombre e incertezze,fino agli scorci interiori di Lisa,luogo di misteri che Natali indaga con insistenti e prolungati primi piani di viso e occhi.
Questo ritmo sordo viene scandito dal ripetersi di rapide occhiate a dettagli e indizi che tracimano dal senso visivo,per insinuarsi sottopelle,lasciando parlare l'invisibile.
Una puntina che scorre nei solchi di un vecchio Long Playing,un telefono che suona,un viso che interroga ciò che non vede;questi scatti si mutano in percezioni bisbigliate,in suoni muti ed odori musicali,come il ripetersi di note intelligenti e di eventi a loop,che rubano e lasciano spazio al senso di una immaginazione che viene lasciata in attesa.
Pur non facendo mancare i segnali di rito,respiri,scricchiolii,rumori,porte e botole chiuse alla conoscenza visiva,il regista non si fa vincere dalle sirene degli stereotipi,ma al contrario, imbeve "Haunter" del senso ossessivo dell'ambiguo e dell'innafferrabile ,dribblando clichè e dejà vu,a beneficio di un'architettura di cinema che sa instillare disturbante inquietudine e impalpabile paura,senza alzare troppo la voce.
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