Titolo: Silent House
Titolo originale: Silent House
U.S.A.: 2011. Regia di: Chris Kentis, Laura Lau Genere: Horror Durata: 86'
Interpreti: Elizabeth Olsen, Adam Trese, Eric Sheffer Stevens, Adam Barnett, Julia Taylor Ross, Haley Murphy
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: Inedito in dvd
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Claustrofobico
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La tecnica direttiva che il dizionario del cinema di questa epoca si compiace di definire "Found Footage",soluzione frequente nel catalogo horror disponibile ai botteghini di fitto passaggio,fin dal tempo del "Blair Witch Project" (che non ne è però genitore),qualifica lo stato di tensione come derivato della finzione proposta nella forma di una realtà colta nell'atto del suo divenire.
La suspense è offerta in modo soggettivo,instillando elementi di paura nei fotogrammi di sequenze di inquietante identità tessute in una struttura documentaristica scomoda e provocatoria.
Ma gli spezzoni ritrovati non parlano lo stesso idioma del cinema sotteso da una tecnica formale che,come contraltare, crea il disagio attraverso lunghe e ininterrotte riprese,dove la tensione si carica dell'energia dell'attesa.
In "Silent House" i registi Chris Kentis e Laura Lau ("Open Water") riscrivono una pellicola uruguaiana,"La casa muda",di Gustavo Hernandez,impostando la narrazione in tempo reale e confezionandola in una presunta unica e continuativa ripresa.
E' irrilevante ricordare il lavoro sperimentale di Hitchcock del '48,"Nodo alla gola",affascinante piece noir su un palcoscenico ripreso senza soluzione di continuità,qui omaggiata dai registi da lontano,in un trucco espositivo discutibile di attendibilità,viste le numerose sequenze in zona d'ombra,capaci di accogliere tagli e sezioni.
Va comunque riconosciuto che l'identità di "Silent House" è da ricercarsi nel linguaggio di una regia studiata con abilità e mestiere anche senza scomodare picchi di novità o esplorazioni nell'insolito.
Sarah (Elizabeth Olsen),con il padre John (Adan Trese) e lo zio Peter (Eric Sheffer Stevens) fanno lavoro di squadra per ripulire e sgomberare la loro vecchia casa di campagna,una grande dimora di campagna che la famiglia ha deciso di mettere in vendita.
La casa è abbandonata da anni e il suo degrado è forte,ma i tre si organizzano e cominciano i lavori,nonostante la mancanza di collegamenti alla rete elettrica.
Non passa molto tempo che Sarah si accorge di essere rimasta sola nella casa,lo zio e il padre letteralmente scomparsi.
E' solo allora che la donna si troverà nella condizione di doversi difendere dalle realtà che abitano quelle vecchie mura,cercando a tutti costi la via di fuga verso l'esterno.
La tensione che pervade la storia è quieta e prudente,scritta nelle righe di un cinema sistematico,mai aggressivo ma narratore con la voce bassa.
Dalle immagini in apertura,una inquadratura dall'alto su una donna seduta in riva al mare,l'occhio accompagna la scena all'interno di una casa dove resterà per quasi tutta la durata della storia,ambiente protagonista e scenario principale.
Il buco praticato da John e Peter nel muro della casa abbandonata,non lascia spiegazioni,ma è l'affacciarsi sul buio di un mistero tenuto segreto persino fra le pareti della propria dimora,ormai sconosciuta e estranea.
Il clima creato dai registi è quello del silenzio e dell'allerta,di un mistero oscuro e messo in attesa negli angoli di una dimora dai muri freddi e avvolti nel fiato dell'incognito.
L'occhio della telecamera spazia fra specchi,scale,arredi appena percepibili in giochi di luci e ombre,contrasti e insieme sfumature,opache macchie cromatiche,angoli,corridoi,muri,tutto in una architettura prospettica che traduce il linguaggio di una regia che è l'Alfa e l'Omega dell'intera pellicola.
La cinepresa segue ossessivamente Sarah,il suo volto,le sue spalle,la sua figura superiore,in un continuo passaggio della donna nei locali invasi in danze di chiari scuri allarmati dai movimenti lenti e indagatori della macchina da ripresa.
Il cinema è buono e il racconto schiva l'ovvietà per gusto di tessitura,eleganza visiva e accortezza espositiva.
I lunghi silenzi e le ispezioni fra le ombra mute indulgono sulla ragione prima di un film che non violenta le immagini e non alza il volume ma mette la sua leva nel lento respiro del silenzio e dell'attesa,scandendo il ritmo metodico di un'ansia che cresce senza essere vista.
Elizabeth Olsen ("La fuga di Martha") regge lo sguardo insistente della telecamera con carattere e coraggio dando compimento a quello che per molte nuove attrici è il rito di passaggio sul tappeto dello spettacolo,nell'esperire i ruoli nei capitoli dell'horror hollywoodiano.
Se l'epilogo è un traguardo raggiunto in sofferenza di spunti e smalto,inciampati in una soluzione surreale e visionaria,in "Silent House" Kentis e Lau pur ricorrendo ad una tecnica d'esposizione già collaudata,tessono un racconto dove immagine e suono si accompagnano con ritmo pacato e insinuano una paura viscerale che non si fa toccare ma neppure si fa negare ai sensi più profondi di una audience disponibile al buon cinema.
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