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Contagious - Epidemia mortale: nuove clip in italiano e intervista ad Arnold Schwarzenegger
Debutta oggi nei cinema italiani Contagious - Epidemia mortale (Maggie), il dramma post-apocalittico che vede protagonisti Arnold Schwarzenegger e Abigail Breslin nei panni di padre e figlia alle prese con una devastante pandemia zombie.
M2 Pictures ha reso disponibili nuove clip in italiano del film che vi proponiamo insieme ad alcune note i produzione in cui Schwarzenegger, la Breslin e il regista Henry Hobson parlano del film.
Ambientato in un futuro post-apocalittico dove un virus letale sta lentamente trasformando la popolazione in zombie, Contagius vede protagonista Arnold Schwarzenegger, leggendario interprete di film d’azione, nei panni di un contadino e di un padre coraggioso e protettivo, che si rifiuta di rinunciare alla figlia di 16 anni, Maggie, interpretata da Abigail Breslin, quando viene contagiata dal morbo – e che resta solo di fronte all’orrore e alla straziante decisione da prendere prima che sua figlia si trasformi. Schwarzenegger racconta:
“È una cosa nuova per me, e anche per il genere zombie. È davvero un film diverso, e non volevo solo recitare, ho deciso anche di produrlo, che è una cosa che di solito non faccio mai”.
Basata su una sceneggiatura originale dell’esordiente John Scott, rientrata nella Black List delle migliori sceneggiature non prodotte del 2011, Contagius segna il debutto alla regia di Henry Hobson, celebre graphic designer, regista di spot pubblicitari e title sequence director, ma anche la prima volta di Schwarzenegger come attore e produttore di un film indipendente a basso costo.
“Quando mi hanno portato la sceneggiatura e mi hanno detto che era nella Black List, ossia una tra le migliori sceneggiature che non sono state prodotte, mi sono incuriosito”, dice Schwarzenegger.
Siete abituati a vedermi nei panni del ‘superuomo’, dell’eroe di film d’azione che sembra non poter essere scalfito dai proiettili.
In Contagious, invece, sono l’uomo della porta accanto, un contadino coraggioso che affronta problemi basilari, come proteggere la sua famiglia e assaporare gli ultimi istanti che gli restano con sua figlia”.
Per il regista Hobson, l’esplorazione di uno dei generi cinematografici più popolari, attraverso la famiglia creata da Scott, offriva una storia semplice ma ricca a livello emozionale, che si adattava bene al suo particolare stile visivo; era una grande opportunità per passare alla regia di un lungometraggio.
“Nella marea di progetti sugli zombie – anzi, forse dovrei dire nell’orda – Contagius spiccava. Invece di fare eco alla grande crisi globale come gli altri progetti, questo film è concepito su una scala ridotta: un tipo di relazione riconoscibile, un padre e una figlia in una città senza nome. Questo permette agli spettatori di identificarsi con quella situazione e chiedersi: Cosa farei se succedesse a me? Fa luce su quello che significa essere umano”, dice Hobson.
“L’uso di una malattia letale, ancora più grave del cancro, dà una torsione alla storia, il cui sviluppo è segnato dalla frattura di una famiglia. Quando tutti quelli che ti circondano sono intaccati da una cosa del genere, diventa difficile offrire un livello umano di empatia e di compassione.
Mi interessava mostrare cosa potesse comportare tutto questo per una famiglia e per una comunità. Come si può aiutare il proprio vicino se si è terrorizzati da quello che sta nascondendo? Mi è piaciuta molto l’ambientazione in una piccola cittadina: è una dimensione locale ristretta, in cui la paura dell’alienazione è più realistica e inquietante. La sceneggiatura dà un’immagine più simile a I giorni del cielo che a 28 giorni dopo”.
“Il nucleo del film è un padre che protegge sua figlia”, dice Schwarzenegger. “Abbiamo già visto orde di zombie e mitragliatrici in altri film, sembra un futuro inimmaginabile. In Contagius invece è una malattia che diventa reale perché il mondo del film si restringe e si concentra su una famiglia, in una fattoria devastata nel mezzo del nulla. Quando ho letto la storia, ho sentito che dovevo interpretare questo personaggio. È più vulnerabile di qualsiasi altro ruolo che io abbia mai fatto, è più autentico, più toccante”.
Per Schwarzenegger, quella di Wade è una scelta inimmaginabile che lacera nel profondo: Maggie non è solo la sua prima figlia, è anche l’unica figlia che ha avuto, tardi, con la sua prima moglie. Mentre Maggie peggiora e Wade rimane fermo al suo fianco, capisce che l’unico modo in cui può davvero proteggere la sua preziosa figlia è mettere fine alla sua sofferenza – ma come può uccidere la sua stessa figlia?
“Dopo che mia figlia Maggie, interpretata da Abigail, viene morsa, prende coscientemente la decisione di scappare per proteggerci. Io, come padre, prendo una decisione, più che istintiva, per trovarla e metterla in salvo. Ogni padre sa che l’istinto di proteggere un figlio è reale, e questo crea un’identificazione. Ti chiedi ‘Cosa farei io?’ e non c’è una risposta facile – le lacrime che vedete sono vere”.
“Mi rattrista il pensiero che il mondo diventi insensibile a queste tragedie, e così ho voluto raccontare la storia individuale di una famiglia per mostrare che negli eventi globali in grande scala, sono le storie personali che li rendono identificabili, reali e umani”, dice Hobson. “Le scelte in questo film non sono solo sulla vita e la morte, ma sulla domanda: Cosa farei io? Cercherei di trovare la cura. E se questa cura fosse senza speranza, dovrei tenerla in vita o ucciderla? Sotto la minaccia di quello che accade quando qualcuno diventa letale, le scelte sono ancora più difficili”.
“È il film sugli zombie più umano che si sia visto”, dice Schwarzenegger, “ed è il ruolo più umano che mi abbiate mai visto interpretare, ne sono fiero. Penso che abbiamo realizzato un film toccante e ricco di suspense che sorprenderà il pubblico”.
È proprio quello che ha colpito Abigail Breslin, attrice nominata all’Oscar, che interpreta il ruolo di Maggie: per lei questo virus è una forma indiscriminata di contagio che trasforma la vita quotidiana di un individuo in un incubo a occhi aperti. Breslin racconta che era interessata alla possibilità di interpretare l’adolescente infetta perché ha visto come la malattia possa portare a una terribile solitudine.
“Ero davvero in sintonia con la storia perché avevo amici molto malati”, racconta la popolare attrice diciannovenne, che ha fatto il debutto sul grande schermo nel 2002, all’età di cinque anni, in Signs di M. Night Shyamalan. “Non vedevo CONTAGIOUS come un film di zombie, ma piuttosto come un film sulla malattia e l’isolamento che ne deriva. Ho pensato che fosse qualcosa in cui potevo davvero entrare e prendere il mio tempo per il personaggio. Il nostro film è un’umanizzazione degli zombie. Maggie non è un mostro. Quando il virus prende il sopravvento, entra ed esce da comportamenti animaleschi. Le scene con i suoi amici sono momenti di sollievo dall’isolamento e dalla tristezza, dal fatto che sta morendo. Sono scorci su quello che la sua vita dovrebbe essere. Poi diventa tutto più pesante di prima, perché cambia tutto”.
In Contagius, la trasformazione da umano a morto vivente – istantanea in molti film horror – si svolge nell’arco di settimane. Trattando il contagio dei morti viventi come un virus in rapida progressione, Scott ambienta il fenomeno degli zombie nel mondo terrificante e fin troppo noto delle pandemie. Mentre Maggie peggiora, potrebbe essere una qualsiasi ragazza adolescente che lotta per rimanere in vita e che deve affrontare insieme alla sua famiglia la sua inevitabile morte.
“In molti film abbiamo visto donne e uomini più anziani attraversare le vicissitudini e le tribolazioni di una malattia devastante, durante la quale i loro corpi si deteriorano nel corso del tempo”, dice Kaufman. “Il fatto che questo succeda a un’adolescente è qualcosa di diverso che non si vede spesso”.
In Contagius, il fatto di diventare un morto vivente è vissuto come un problema di salute e di sicurezza pubblica, a differenza dei film pieni di sangue e di mostri, e questo è un altro aspetto della storia che ha colpito Breslin.
“Spero che il film faccia riflettere su quanto le persone che stanno morendo per una malattia abbiano bisogno di avere vicino la gente”, aggiunge Breslin. “Evitare i malati o le persone che stanno morendo o trattarle come ‘infetti’, li lascia soli proprio nel momento in cui hanno più bisogno delle persone”.
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