Sacrifice
Titolo originale: Zhao shi gu er
Cina: 2010 Regia di: Chen Kaige Genere: Drammatico Durata: 123'
Interpreti: Wang Xueqi, Ge You, Fan Bingbing, Huang Xiaoming, Zhang Fengyi, Vincent Zhao
Sito web:
Nelle sale dal: Inedito
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Nicola Picchi
L'aggettivo ideale: Operistico
Regno di Jin, Periodo delle primavere e degli autunni; il Primo Ministro Zhao Dun e suo figlio, il Generale Zhao Shu, sono in aperto contrasto con il Generale Tu’an Gu. Quest’ultimo, spinto dall’ambizione, organizza l’avvelenamento del Re facendo ricadere la colpa sulla famiglia Zhao e usando l’assassinio come pretesto per sterminarne tutti i componenti.
Ma la Principessa Zhuanji, sorella del Re e moglie di Zhao Shu, partorisce prematuramente un bambino e, prima di togliersi la vita, lo affida al medico Cheng Ying.
Da un episodio narrato nelle “Memorie di uno Storico” (Shiji) di Sima Qian, prima opera storiografica cinese, l’autore drammatico Ji Junxiang, vissuto durante la dinastia Yuan, trasse l’opera “Zhao shi gu er”, ovvero “L’orfano della famiglia Zhao”.
Tradotta in francese nel corso del XVIII secolo, fu la prima opera cinese conosciuta in occidente, e servì da spunto sia a Voltaire che al nostro Metastasio. Estremamente popolare, è tuttora rappresentata dall’Opera di Pechino e se ne contano numerosi allestimenti anche all’estero.
Il dramma di Ji Junxiang è stato adattato per il grande schermo da Chen Kaige con questo “Sacrifice”, che in patria ha ottenuto un buon successo di pubblico. Reduce dal dissennato “The Promise”, accolto da critica e pubblico alla stregua di una parodia involontaria, e da “Forever Enthralled”, estenuato biopic su Mei Lanfang, Chen Kaige è uno dei pochi registi della Quinta generazione ancora in attività ma, al contrario di quella del coetaneo Zhang Yimou, la sua carriera è un’alternanza di alti e bassi. Il “sacrificio” del titolo è quello di Cheng Ying, il quale offre in olocausto il proprio figlio per salvare l’ultimo degli Zhao. Tu’an Gu, infatti, vuole estinguere la discendenza del clan, e fa prelevare dai soldati tutti i neonati della città, minacciando di metterli a morte nel caso il bambino non gli venga consegnato.
Il testo originale mirava ad esaltare il valore feudale della lealtà all’aristocrazia, ai giorni nostri poco comprensibile; quello del medico era un gesto consapevole e volontario, che aveva l’effetto di sprofondare la propria moglie nella follia. Nella sceneggiatura di Chen, costata due anni di lavoro, si è cercato di rendere lo svolgimento della tragedia meno anacronistico. Lo scambio di neonati avviene dunque per accidente, in seguito a una malaugurata catena di circostanze.
“Sacrifice” è nettamente diviso in due parti, tra le quali esiste un divario significativo e persino uno scollamento. Non è dato sapere se ciò sia da addebitare alla defezione della sceneggiatrice Gao Xuan, la quale ha abbandonato la lavorazione a metà, o se si tratti di una scelta consapevole del regista. Se la prima parte è cinema allo stato puro, anche se di classica compostezza, la seconda è teatro filmato. I movimenti della macchina da presa circoscrivono uno spazio che non è quello aperto, libero, tridimensionale del cinema, bensì quello chiuso e ieratico del palcoscenico. Assistiamo allo scioglimento del dramma come spettatori in platea, osservando l’azione attraverso l’invisibile e convenzionale barriera della quarta parete.
Nella parte iniziale, o sarebbe meglio dire nel “primo atto”, Chen usa il colore per scatenare risonanze emotive, il metallo brunito delle armature, il rosso sanguigno e materico delle stoffe, il bianco della purezza oltraggiata, descrivendo alla perfezione le bizantine ritualità della Corte. Carrelli geometrici esplorano i palazzi del potere, mentre il massacro degli Zhao è in bilico tra il realismo e l’esasperazione tipica di certe coreografie hongkonghesi.
La cesura tra i due “atti” avviene quando il sacrificio si è compiuto. Cheng Ying lascia la sua casa, sbarrandone l’accesso con dei tronchi di legno. In maniera consimile il regista abbandona la sintassi cinematografica, forse dimenticata tra i rampicanti che prenderanno possesso degli interni, e sceglie di passare al teatro filmato.
La decisione, anche se straniante, è coerente con gli sviluppi del dramma: Cheng Ying giura vendetta e offre i propri servigi di medico a Tu’an Gu, andando a vivere nella sua casa insieme a Bo’er, l’erede degli Zhao. Il bambino è lo strumento principe della sua vendetta, una vendetta che dovrà attendere 15 anni prima di giungere a compimento.
Costruendo un’intimità tra Bo’er e il suo nemico, il medico si illude di rendere ancora più terribile il momento dello svelamento della verità. Inutile dire che non tutto andrà come previsto, perché nel frattempo si saranno creati dei legami affettivi tra Tu’an Gu e il ragazzo, il quale vede in lui un padre sostitutivo, meno opprimente e ossessionato di Cheng Ying, che Bo’er giudica un perdente.
L’unità di luogo giustifica quindi il ricorso alla forma teatrale, anche se la progressione drammatica soffre di una battuta d’arresto per scarsa attenzione alle psicologie. In particolare le reazioni dell’orfano degli Zhao alla storia che gli viene raccontata sono contraddittorie, passando dalla negazione alla conflittualità, poi ancora alla negazione, fino a sfociare in un’azione talmente repentina da sconfinare nell’assurdo.
Lo scioglimento finale è deludente sul versante cinematografico, un vero e proprio anticlimax, ma conseguente con un’impostazione che si vuole altamente ritualizzata.
La prospettiva frontale della scena conclusiva abdica a qualsiasi pretesa di realismo, disvelando la natura “operistica” del secondo atto.
“Sacrifice” non potrebbe funzionare senza due interpreti del calibro di Wang Xueqi e Ge You. Il primo, che era già stato diretto da Chen in “Yellow Earth”, “The Big Parade” e “Forever Enthralled”, è un Tu’an Gu di statura shakespeariana, di estrema complessità. Roso dalla gelosia per il prestigio degli Zhao, spietato quando ne pianifica lo sterminio, umanissimo quando, avendo perso l’unico figlio, si affeziona al giovane Bo’er, di cui finisce per diventare un secondo padre.
Anche quando intuisce la vera natura del ragazzo non riesce a risolversi ad ucciderlo, come mostra la sequenza nella foresta, in cui è dibattuto tra la preoccupazione per Bo’er e la necessità di vederlo morto. Wang Xueqi (Reign of Assassins) domina il film, con un’interpretazione di grande sottigliezza, carisma e ironia.
Ge You, che in questo momento è sugli schermi anche in “Let the Bullets Fly” di Jiang Wen e nel sequel di Feng Xiaogang, è altrettanto efficace nel ruolo del vecchio, tremebondo eppure deteminato Cheng Ying. Paragonato agli esiti poco interessanti degli ultimi film di Chen, “Sacrifice” ha una sua dignità da melodramma storico, un po’ sulla scorta di “The Emperor and the Assassin”, tenendo presente che sia la forza degli esordi di “Yellow Earth” che i trionfi di “Addio, mia concubina” sono ormai un lontano ricordo.
|