Babycall
Scritto da Marzia Gandolfi   
giovedì 30 agosto 2012

Titolo: Babycall
Titolo originale: Babycall
Norvegia: 2011. Regia di: Pal Sletaune Genere: Thriller Durata: 96'
Interpreti: Noomi Rapace, Kristoffer Joner, Vetle Qvenild Werring, Torkil Johannes Swensen Høeg, Maria Bock, Stig R. Amdam, Henrik Rafaelsen, Bjørn Moan
Sito web ufficiale: www.babycall-film.no
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 31/08/2012
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Marzia Gandolfi
L'aggettivo ideale: Fiacco
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babycall_leggero.pngAnna ha un bambino di otto anni e una casa in affitto dove si è rifugiata, con l'aiuto dell'assistenza sociale, da un marito violento.
Separata e terrorizzata dall'uomo che ha cercato di uccidere suo figlio, il piccolo Anders, Anna vive in uno stato di ansia e confusione permanente da cui sembra uscire davanti al sorriso di Helge, un giovane uomo incontrato sull'autobus che ne accoglie la fragilità e il dolore. Ossessionata dal padre di Anders, acquista un babycall, un dispositivo senza fili che le assicura il contatto costante col figlio addormentato nella stanza accanto.
Una notte è svegliata di soprassalto dalle urla di un bambino che comprende molto presto non essere Anders. La violenza intesa la spinge a cercare all'interno del condominio i proprietari dell'apparecchio che produce l'interferenza col suo. La ricerca darà esiti sconvolgenti, avviando un viaggio ai confini con la realtà.

C'è del marcio anche in Norvegia, dove la famiglia, luogo sacro dell'immaginario, diventa sede privilegiata di incubi spaventosi. Sfruttando la fama e l'appeal trascurato e instabile dei personaggi di Noomi Rapace, Pål Sletaune realizza uno psycho-thriller fiacco e innocuo intorno a una madre e al suo bambino minacciati dall'esterno ma minati anche dall'interno.

Un film dove finisci presto per non fidarti di nessuno e dove l'amore può celare follia e omicidio. Se in Babycall i bambini sono vittime frangibili e indifese che rischiano ogni giorno di essere eliminati dal genitore killer di turno, gli adulti sono mostri e portatori di una pazzia che può liberarsi in allucinazioni o trattenersi dentro malinconie profonde.
Ossessionata e smaniosa di controllo, la protagonista vive una vita che non è ciò che sembra, attraverso uno sguardo che fa lievitare il mondo osservato aprendolo a un significato altro.
Significato che non tarda ad arrivare con la morale della favola. Regia e sceneggiatura dovrebbero essere additate a pubblico ludibrio nelle scuole di cinema per inconsistenza e prevedibilità. Perché Babycall abdica ogni soluzione di messa in scena e ha un intreccio thriller in cui qualcuno ha evidentemente dimenticato di mescolare gli ingredienti, sfogliati da un catalogo di luoghi comuni del genere e poi applicati senza sostanza e fantasia.
L'unica idea degna di nota, la riflessione intorno al Welfare State come causa probabile di depressione e tendenza al suicidio, resta esiliata nello sfondo sfumato dei primi piani della diva larssoniana.

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