Titolo: A proposito di Davis
Titolo originale: Inside Llewyn Davis
U.S.A.: 2013. Regia di: Ethan Coen, Joel Coen Genere: Drammatico Durata: 105'
Interpreti: Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman, Garrett Hedlund, Adam Driver, Oscar Isaac, F. Murray Abraham, Max Casella, Alex Karpovsky, Ethan Phillips, Ricardo Cordero
Sito web ufficiale: www.insidellewyndavis.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 06/02/2014
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Elegante
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Ci sono registi che non sbagliano mai un film e quando ne esce uno è come
andare ad un appuntamento con delle persone che si conoscono e di cui si
stimano gli esercizi di stile, i pensieri narrativi, l’eleganza del tocco.
Mai
una nota stonata, un eccesso gratuito, una slabbratura nella descrizione dei
personaggi o nella costruzione dei dialoghi. Nel mondo oramai ci sono milioni
di spettatori che hanno scelto” Barton Fink “ o “ Mister Hula Hoop “, “ Fargo “
o “ Il grande Lebowski “, fino a “ Non è un paese per vecchi “, come pietre
miliari del Cinema Contemporaneo.
Anche tipiche commedie americane di puro
consumo come “ Prima ti sposo, poi ti rovino “ o “ Ladykillers “ lasciano
comunque il segno per costruzione sapiente e perfetta conoscenza delle regole;
insomma qualsiasi storia decidano di raccontare, compreso il remake di “
Ladykillers “ o “ El grinta “ trasformano le storie in pellicole preziose per
accuratezza, raffinatezza e cinefilia.
Con quello che potremmo definire ‘ il tocco ‘ dei fratelli Coen - in questo
caso più contenuto, privato, meno appariscente - giunge nelle nostre sale
questo piccolo, perfetto film, un affresco del marginale ambiente della musica
folk prima dell’arrivo di Bob Dylan e con alle spalle cantautori solidi come
Woody Guthrie o Pete Seeger e Cisco Huston.
Anche qui - come con le storie
della Beat Generation - c’è l’on the road, la ricerca spasmodica di un posto in
cui andare e di trovare qualche soldo per poter pagare l’affitto o le bollette,
ma invece che la ricerca del padre o le radici c’è uno scivolare sulle cose
anche importanti ( l’amicizia tradita, l’aborto, il timore del fallimento, la
perdita del senso d’amore ).
Un film ambientato nella New York dell’inverno
del 1961 senza glamour o mitizzazioni, nonostante siamo nel Greenwich Village (
e il boom della musica folk che vedrà nascere superstar è ancora di là dal
venire ); una storia che dura una settimana o poco meno e in cui assistiamo
alla vita randagia e faticosa di un giovane cantante folk, Llewyn Davis (
ispirato al memoir del folk singer Dave Van Ronk - " The Mayor of MacDougal
Street “ scritto da Elijah Wald ). Non siamo nel mondo dei cantanti emergenti
dello show business né in quello randagio del jazz fatto di alberghi infimi e
droghe.
È quello invece degli anni bui e difficili di una piccola cerchia di
giovani cantanti che si scambiano vecchie canzoni che sembrano comprendere solo
loro e un piccolo pubblico a volte distratto. Ragazzi senza la mitologia dei
Dean Moriarty o degli Allen Ginsberg o dei Gregory Corso, ma giovani cresciuti
nelle strade di New York, nei fabbricati squallidi delle periferie e in cerca
attraverso la musica di una possibilità di fuga dal conformismo e dai tempi
oscuri che hanno caratterizzato tutti gli Anni Cinquanta.
Llewyn è un giovanotto sui venticinque anni, con un’anima malinconica,
piuttosto egoista e con un carattere a volte ruvido.
Più che fare carriera nel
mondo musicale, vorrebbe almeno sopravvivere economicamente, ma a quanto pare
non ci riesce. Sì, qualche piccolo spettacolo forse nemmeno pagato, qualche
turno di registrazione di dischi di amici, ma il disco che ha inciso non ha
venduto, il suo agente non gli dà che quaranta dollari quando chiede di essere
pagato e passa da una casa ad un’altra per poter dormire su un divano o a
terra. Anche la sua vita personale è fallimentare, la donna, Jean ( Carey
Mulligan ), fidanzata con il suo migliore amico ( Justin Timberlake ) è rimasta
incinta di lui e vuole abortire, un’altra tagazza in precedenza che ha messo
incinta invece di abortire se ne è andata via col bambino senza dirgli nulla,
sua sorella lo detesta e lo caccia di casa. In più è rimasto da solo dopo che
ha abbandonato l'altra metà del suo duo musicale. Insomma è un uomo con dei
sensi di colpa che riesce però a reprimere, il suo insuccesso lo radicalizza
nel purismo artistico ( si sente l’unico vero artista e snobba chi non suona e
canta roba " autentica " e “ vera “ ) e a questo bisogna aggiungere che ha
tendenze autodistruttive.
Litiga con una coppia di professori universitari che
lo ospitano e sono sempre disponibili con lui, litiga con la sorella e cerca di
spillare soldi all’amico per poter far abortire la sua compagna e incinta di
lui. Insomma vive in un mondo che non riesce a capire e che non lo capisce e
quindi è in aperto contrasto. Contrasto che sa anche di fallimento quando
bisogna decidersi di fare delle scelte, infatti sembra voler abbandonare la
musica e iniziare a lavorare su una nave come marinaio.
Ma il finale circolare
( elegantissimo ma anche forse inutilmente intellettuale ) lo riporta nel
vicolo con il naso rotto come lo abbiamo visto all’inizio della storia.
Una storia minimale con un’evoluzione ‘ semplice ‘ ma ricca di dettagli
psicologici e dei classici visi alla Coen, come alla Coen sono le insensatezze
dei protagonisti che nascondono una qualche lucida follia o una qualche
stupidità di fondo.
Un protagonista in fondo buono, divertente ma non
particolarmente empatico, un bravo Oscar Isaac ( attore trentenne guatemalteco
con all’attivo già una ventina di film da non protagonista ), con lui un gruppo
d’attori bravi e convincenti ma tutti un po’ freddi se non algidi. Da
segnalare il bravissimo John Goodman nel quasi cameo del musicista jazz Roland
Turner che sbeffeggia la musica folk, e il suo " valletto " il taciturno
Johnny Five ( Garrett Hedlund )
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