Intervista a Barbara Enrichi |
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Scritto da Vittorio Castagna | |
domenica 15 aprile 2007 | |
Intervista a Barbara Enrichi:
Ciao Barbara. Prima di entrare nel merito della nostra chiacchierata, volevo semplicemente chiederti cosa stai realizzando ultimamente.
In questo momento mi trovo a Milano e ho finito di girare un tv movie dal titolo ancora provvisorio: “Il mondo delle cose senza nome” di Tiziana Aristarco (Un medico in famiglia) realizzato per Rai Fiction. Il film è tratto da un romanzo di Daniela Rossi e ho lavorato insieme ad un cast di ottimi attori: Elena Sofia Ricci, Stefano Pesce e Gioele Dix. Nel film io sono Bianca, amica della protagonista, nel ruolo di una fotografa molto indipendente e ho il difficile compito di metterla in contatto con un esperto per migliorare la vita di suo figlio. Non posso dire di più, ma di certo merita di essere visto. Il motivo per cui ti ho contattato è relativo all’originale film di Emiliano Cribari: “Via Varsavia”. Cosa ti ha spinto a partecipare alla sua realizzazione e qual' è stata la tua impressione?
In verità non è stata la prima volta che mi interesso di
cinema sperimentale. Hai colto dei rischi nella sceneggiatura “poco commerciale”? Se fissiamo il nostro sguardo in direzione di programmazione della Tv standard notiamo che l’idea va oltre la media. In effetti il progetto si presentava un po’ rischioso, soprattutto per la sceneggiatura, ma bisogna lanciarsi e Cribari mi ha colpito per il suo coraggio nel presentare e realizzare la sua idea. Dopo aver letto la sceneggiatura ho colto che era allo stesso tempo bella, strana e nuova. La parte che mi era stata proposta, legata a quella di Marco Masini, porta a capire lo spettacolo teatrale; il film si apre con le riflessioni di una coppia, io e Masini appunto, che esprime le sue riflessioni riguardo uno spettacolo teatrale visto la sera prima, creando attesa e preparando il terreno a quello che sarà il centro del film: il monologo di Erika Renai.
Sentendoti parlare traspare un certo interesse e una
passione per il cinema italiano. Sono da sempre una sostenitrice del cinema italiano. Faccio parte della giuria del David di Donatello, e mi sono trovata di fronte sia delle pellicole belle e sia di inguardabili. Il cinema ha bisogno di cose nuove, e lì dove c’è il rischio vanno sostenute. Essere oggi attore è complicato, si guadagna poco ed emergere è difficile. Personalmente in questa linea, quella della novità e creatività, insieme con Rocco D’Onghia e alla scuola “Teatro Primo Studio” ho lavorato sull’atto unico teatrale “in fondo alla passione”. La ricerca si è poi prolungata scrivendo una sceneggiatura cinematografica dal titolo: “il gusto della vita”. Perdona la mia curiosità. Potresti descrivermi queste due ultime opere? La sceneggiatura cinematografica "Il gusto della vita" è la storia dei personaggi e le loro passioni, con un viaggio nel fovoloso mondo del gusto, inseguendo la filosofia del buon vivere. Mentre l'atto unico per il teatro "In fondo alla passione" è la storia di un grande amore, vissuto e consumato nella cucina del ristorante, una relazione segreta, molto intensa legata al cibo e al sesso. La cuoca protagonista ci racconta la trama di una grande passione, di un amore perduto e di un gesto d'amore emozionante. Entrambi i progetti hanno come tema il cibo, ma con due visioni diverse, una con il cibo legato al benessere, l'altra alla passione. È scontato che sei invitato a visionarli, così magari mi dai un tuo parere. Intervista realizzata da Vittorio Castagna |
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