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Intervista a Peter Greenaway PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Maria Pelella   
domenica 18 giugno 2017

Intervista a Peter Greenaway

Incontro Peter Greenaway al Biografilm Festival. E’ in giacca nonostante il caldo torrido e ha un’aria divertita. La prima cosa che dice sedendosi è un commento al poster del Biografilm alle sue spalle, ritrae Soko in La Danseuse, “è una posizione estatica, pare quasi che stia avendo un orgasmo”


Inizio ringraziandolo per aver concesso qualche minuto del suo tempo e gli chiedo subito dei suoi ultimi film:
D: In Goltzius and the Pelican company si ha l’impressione di assistere a qualcosa di più che a un film, pare un’esperienza sensoriale, cosa può dirci della sua estetica in continua evoluzione?
R: Il cinema per me è morto. Ogni opera statica non può che invecchiare male, se guardiamo adesso Casablanca lo troviamo noioso, sempre uguale, mentre le opere d’arte devono avere un linguaggio eterno.
Pensi alle opere pittoriche, a un Rembrandt, lo sa che “La ronda di notte” fu chiesto come pagamento dagli Stati Uniti per il piano Marshall e l’Olanda rifiutò?
E’ la loro identità nazionale, un’opera che trascende il suo  senso immediato.100-100.png
Io vivo ad Amsterdam e ho una tessera che mi consente l’ingresso nei musei in qualsiasi ora del giorno e della notte e l’ho usata per sedici settimane durante la lavorazione del mio film (Nightwatching 2007).
Quello che volevo ottenere era di immettere immagini in movimento sopra la tela, convertire in luce il dipinto, all’interno nasconde un delitto, è uno strumento di denuncia politica.
La storia non esiste, esistono solo gli storici e sono dei bugiardi, Giulio Cesare era un bugiardo fino a Winston Churchill, tutti bugiardi. L’arte è l’unico strumento di riflessione sulla società, in Eisenstein in Messico (2015) parlo di come l’arte può essere sovversiva ed è in questo senso che io la intendo.
Ho parlato della sua omosessualità e adesso sono “persona non grata” in Russia, Putin mi odia, è una bella soddisfazione.


D: quali sono i suoi riferimenti registici italiani?
R: Amo l’Italia, amo la gente italiana, così socievole e amo il vostro sole di cui voi vi lamentate di continuo (ride). Mi piace molto anche la vostra cucina, voi passate tranquillamente cinque ore a disquisire col cameriere su quello che volete mangiare, mentre noi inglesi il pasto lo consideriamo una sorta di pit stop, ecco perché noi ci ammaliamo più facilmente di cancro all’intestino e voi morite di infarto, quello che vi manca è una colazione come si deve, in quello siete carenti. (sorride)
Fellini ha fatto 8 e ½ e io per omaggiarlo ho fatto 8 Donne e ½ (1999).
Rossellini era un autentico socialista, le sue opere trasudano amore per le classi meno fortunate, adesso non ci sono più, qui ora il gradino più basso è occupato dai migranti, poi c’è un'unica classe borghese. Pasolini era un intellettuale e per me le sue cose migliori sono quelle che ha scritto. Ma dove è finito il cinema italiano? Voi siete responsabili della sua sparizione, dopo La Dolce vita e L’Ultimo Imperatore non c’è stato più nulla. Dovete rispondere di questo.


D: non abbiamo una risposta su questo, almeno io non ce l’ho, mi spiace. Lei pensa in futuro di dedicarsi solo alla pittura e alla videoarte, quindi?
R: come artista mi sento stimolato dalle cose in evoluzione, mi piace sperimentare. Vengo dalla pittura, sono stato un regista per puro accidente, non avrei mai immaginato di continuare così a lungo, ma adesso vorrei sperimentare ancora e se lei pensa che la pittura precede la nascita del cinema di moltissimo tempo saprà anche che con la pittura si può continuare a parlare, mentre il cinema è un’arte limitata al tempo.
Quello che mi piace è giocare con la luce, con le immagini e i colori, ci sono moltissime parole per indicare i colori nella mia lingua, nella vostra ce ne sono altrettante?


D: direi di si
R: quindi capisce che l’uso del colore è una continua riscoperta delle nostre possibilità espressive.
Penso che ogni artista debba farsene un punto di orgoglio della propria capacità di parlare a tutti con ogni strumento a sua disposizione, l’arte deve essere un mezzo e il suo uso deve necessariamente essere politico, infatti Trump sta cercando di distruggerla, questo vorrà pur dire qualcosa, non crede?


D: immagino di si, lei pensa che l’arte sia quindi un dovere politico?
R: anche ma soprattutto è uno strumento di riflessione sulla società e su quel che le accade, in Eisenstein è una riflessione sul ruolo, un’indagine sul mestiere di regista in rapporto a un regime. Assistiamo ogni giorno a cose tipo la Polonia che chiude le frontiere e la Cina che blocca internet, anche in passato è accaduto e ora sappiamo che chi nega la conoscenza è destinato a restare indietro. Non è più tempo di pensare, ora dobbiamo agire.
E su questo invito all’azione politica veniamo gentilmente invitati a chiudere l’intervista, il tempo è volato Greenaway è davvero una persona interessante e molto generosa con le sue opinioni e col suo tempo.

Anna Maria Pelella

 
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