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Intervista di Lee Chang-dong su Poetry PDF Stampa E-mail
Scritto da Francesca Caruso   
lunedì 04 aprile 2011

Lee Chang-dong e la sua “Poesia”

L’ultimo film di Lee Chang-dong "Poetry" arriva nelle sale italiane, con alle spalle una serie di premi vinti: per la Miglior Sceneggiatura a Cannes 2010 e all’Asian Film Awards di Hong Kong 2011 (gli Oscar asiatici), dove ha vinto anche il premio come Miglior Regia. In questo film il regista dà voce alla bellezza che risiede nelle piccole cose, che si trovano sotto gli occhi di ogni uomo ma che in pochi vedono veramente: come l’osservare una mela o un albero o raccogliere una susina dal terreno e arrivare a capire il significato più intrinseco che vi è legato dietro (come accade alla protagonista).

Attraverso la scrittura poetica Lee Chang-dong parla della poesia che c’è nella vita di ognuno, basta aprire gli occhi e guardare.
Mija è una donna di 66 anni, che si prende cura del nipote adolescente. La situazione economica è modesta, la donna fa la badante di un anziano emiplegico. È attirata da un corso di scrittura poetica, che inizia a frequentare, con l’intento di riuscire almeno una volta a scrivere una poesia. Impara che la bellezza si trova ovunque intorno a sé, basta saperla sentire e cogliere. Mentre accade ciò viene messa al corrente che una studentessa si è suicidata, per aver subito abusi sessuali da parte di un gruppo di ragazzi, tra i quali figura suo nipote. Mija si sente paralizzata nell’apprenderlo e il principio di Alzheimer diagnosticatole dà una svolta inaspettata.

Rispetto ai personaggi dei precedenti film di Lee Chang-dong, Mija è un’osservatrice del comportamento altrui dopo il dramma.
I carnefici, come pure i loro genitori, non provano pentimento né sensi di colpa per ciò che hanno fatto e per le conseguenze che le loro azioni hanno provocato. Sarà Mija a fare sua la sofferenza della vittima, portandola a parlare a nome suo.
“Poetry” è un film duro e soave allo stesso tempo, che mostra uno dei mali di oggi e la riscoperta bellezza delle piccole cose, di cui ci si accorge sempre meno. Lee Chang-dong spiega come nonostante le numerose parole che si usano quotidianamente, non ci sia una reale comunicazione tra le persone. È un film coinvolgente e che fa vibrare l’anima, portandola a nuova vita come quella di Mija.

In occasione della presentazione del film a Roma il regista ha presieduto all’incontro con la stampa.

Lei descrive una donna che ha tutto un mondo dentro di sé. Cosa pensa Mija di suo nipote?

Lee Chang-dong: Quando guardo mio figlio mi chiedo spesso cosa stia pensando. Mija, dopo aver saputo cosa ha fatto il nipote, si sarà chiesta chi fosse quella persona che ha di fronte che ama tanto e se dietro ci fosse un mostro.

“Poetry”, oltre ad essere un elogio alla poesia, sottolinea pure che si dicono tante parole che però non creano una comunicazione reale tra le persone. Cosa può dirci a riguardo?

Lee Chang-dong: È vero, ci diciamo tante parole nella vita, eppure la poesia sta morendo. Attraverso l’arte del poetare ho voluto mostrare cosa sia la poesia della nostra vita, la bellezza che si trova nelle cose, in tutte.

C’è un momento in cui lo spettatore viene lasciato nella posizione di domandarsi se è stata Mija a denunciare il nipote. Lei non lo dice chiaramente.

Lee Chang-dong: Ho voluto lasciare in sospeso alcuni momenti, come per esempio se sia stata Mija o meno a denunciarlo. Si tratta di un gioco di moralità, ho voluto lasciare un vuoto e che la scelta di interpretarlo fosse dello spettatore. Ho però disseminato alcuni indizi che potrebbero portare a questa soluzione, senza il bisogno di dirlo chiaramente. Un altro vuoto da colmare si ha nel finale. Il film ha una fine aperta: inizialmente Mija cerca la bellezza visibile, poi comprende che la può trovare dopo aver vissuto l’orrore, il lato oscuro delle cose. La poesia scorre e la voce cambia in quanto sono le parole che avrebbe voluto dire la ragazza morta.


Nel comitato dei genitori ci sono cinque uomini e una sola donna. Perché questa scelta?

Lee Chang-dong: In genere sono i maschi che si fanno carico di questi problemi e si attivano, inserendo una donna nel gruppo ho voluto aggiungere la bellezza, l’istinto e un forte senso di colpa (che solo lei prova). Le reazione degli uomini e delle persone coinvolte nel dramma sono comuni a tutti, agli orientali quanto agli occidentali. Si tende a fare come se non fosse mai successo, non c’è alcun senso di responsabilizzazione.

Francesca Caruso

 
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