Fantascienza
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Scritto da Daniele Sesti
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venerdì 19 gennaio 2007 |
Zathura un avventura spaziale
USA: 2005. Regia di: Jon Favreau Genere: Fantascienza Durata: 88'
Interpreti: Jonah Bobo, Josh Hutcherson, Tim Robbins
Recensione di: Daniele Sesti
Un polveroso gioco da tavola trovato in una vecchia cantina. Chi avrebbe mai pensato che l'avventura che inizierà non consisterà in un semplice alternare di lancio di dadi e lettura di carte, ma di un viaggio vero e proprio nello spazio con la propria abitazione a mò di navicella? Solo chi ha visto "Jumanji", altro film tratto da un racconto di Chris Van Allsburg (che ha scritto anche "The Polar express"), potrebbe immaginarselo (non a caso all'inizio "Zathura" fu progettato come un diretto sequel del film del 1995 con Robin Williams), non certo i due litigiosi fratellini Danny (10 anni) e Walter (6 anni e 8 mesi). E così quello che sembrava un normale pomeriggio casalingo si trasforma in una gita intergalattica... "Zathura, un'avventura spaziale" è un film per famiglie che tanto deve al su citato "Jumanj" per struttura narrativa e legami tra i protagonisti (anche stavolta fratelli). Una produzione imponente che si è avvalsa di alcuni dei più importanti professionisti di Hollywood (sceneggiatore, direttore della fotografia, scenografo e direttore degli effetti visivi sono tra i più quotati del cinema) affidata ad un regista Jon Favreau, che molto bene aveva fatto con Elf. Ne esce fuori un prodotto piacevole, che molto strizza l'occhio ai film di fantascienza anni 80 ("Et", "Incontri ravvicinati del terzo tipo") riuscendo sempre a rimanere in sospeso tra la commedia e il più classico film d'avventura. Una favola che tende a mettere in evidenza l'importanza dell'affetto familiare senza (strano per un film di fantascienza) staccarsi troppo dalla realtà ( i genitori dei due fratellini erano e rimangono separati nonostante la possibilità offerta dalla stella cadente…). Date le premesse era lecito aspettarsi qualcosa di più, ma in un periodo in cui la fantasia al cinema è rilegata nella serialità di Harry Potter, un viaggio bello, ma non entusiasmante, nello spazio ce lo concediamo ancora con piacere.
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Commedia
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Scritto da Francesco Bassi
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venerdì 19 gennaio 2007 |
La mia Super Ex-Ragazza
USA: 2006. Regia di: Ivan Reitman Genere:Commedia Durata: 95'
Interpreti: Uma Thurman, Luke Wilson, Anna Faris, Eddie Izzard, Rainn Wilson, Wanda Sykes
Recensione di: Francesco Bassi
"Garantito. Avrà sulla guerra dei sessi lo stesso effetto che il
progetto "C'è kamikase e kamikase" potrebbe avere sulle già non
pacifiche relazioni tra occidente e mondo islamico. I maschi sono di
loro convinti che ogni ex fidanzata sia una mina vagante, pronta a
fasciarsi di tritolo per fare esplodere il fedifrago, meglio se in
compagnia della morosa nuova.
Il film di Ivan Reitman lo conferma, con dovizia di particolari.
Parentesi: a proposito di coppie che si fanno la guerra, senza rispetto
per l'11 settembre e per l'antrace, non perdetevi il romanzo di Ken
Kalfus, "Uno stato particolare di disordine", uscito da Fandango: lui
era in una delle Torri, lei sarebbe dovuta salire su uno degli aerei
dirottati, quando si rivedono e scoprono che entrambi sono scampati al
disastro, il marito compra un detonatore e una cintura esplosiva.
Chiusa parentesi.
Uma Thurman, seduta in metropolitana, sembra la sorella gemella di
Elaine May in "E' ricca, la sposo e l'ammazzo". Goffa e occhialuta al
punto giusto per sembrare una facile conquista, e una facile preda per
un borseggiatore.
Luke Wilson le recupera la borsetta. Lei si commuove, perché è una
supereroina abituata a salvare il mondo, ma nessuno mai si prende cura
di lei.
Alla prima scopata, il letto finisce nell'appartamento a fianco: una
che ferma i jet, e che da mesi dev'essere in crisi di astinenza, mica
può pensare al disturbo arrecato ai vicini (la scena fa venire qualche
curiosità sulle analoghe prestazioni di Superman, che nell'ultimo film
abbiamo scoperto padre di un piccino).
Quando lui la pianta, i superpoteri si aggiungono alla furia della donna offesa.
Come in ogni commedia sentimentale, le battute migliori toccano
all'amico del cuore, che fornisce consigli sulle femmine da ribaltare:
le nevrotiche e distanti danno soddisfazione a letto, poi spariscono
senza perseguitarti.
La super girl risulta invece più molesta di Glenn Close in Attrazione
fatale e come lei ha una passione per la bollitura degli animali
domestici (se la cava bene anche con gli squali e le automobili di
lusso e la statua della libertà).
Ma siccome non fuma, uno non prende le sue precauzioni.
La rivale bionda è Anna Faris, più nota come miss Scary Movie.
Uma Thurman mostra un'altra volta i piedi dopo Kill Bill. Senza l'alluce storto, forse non sono suoi.
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Cult Movie Sci-fi
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Scritto da Luca Orsatti
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venerdì 19 gennaio 2007 |
The
Fog DVD
The Fog
USA: 1980. Regia di: John Carpenter Genere: Horror Durata: 91'
Interpreti: Adrienne Barbeau, Jamie Lee Curtis, Janeth Leigh, Hal Holbrook
Recensione di: Luca Orsatti
Era difficile, dopo un successo mondiale come Halloween - La Notte
delle Streghe, realizzare un' opera all' altezza del predecessore.
L'allora ventinovenne John Carpenter ha a disposizione un budget più
elevato: un milione di dollari. Siamo sempre nel territorio dei film a
basso costo, ma se pensiamo che per le gesta di Michael Myers erano
stati spesi appena trecentomila dollari, ci rendiamo conto di trovarci
di fronte al primo vero salto di qualità del giovane regista.
Carpenter è un uomo a cui piace stupire il pubblico e disorientarlo con
scelte che possono apparire anche discutibili. La maggior parte dei
registi avrebbe girato un film-fotocopia. Lui no.
Dopo il serial killer con la maschera bianca (non un semplice
assassino, ma il "Male" assoluto che si incarna), ecco una tradizionale
storia di fantasmi. Se in Halloween, malgrado i vertici di sublime
terrore raggiunti, il sangue sparso era poco, anche per gli standard
dell' epoca, Fog ne mostra ancora di meno.
E' un film tutto giocato sulle atmosfere gotiche, cupe, decadenti.
Ombre nella nebbia, appunto, che emergono all' improvviso, portando con
loro il retaggio di un oscuro passato, cui è impossibile sfuggire.
Io trovo che il modo più nobile e più efficace che sia mai stato
escogitato per fare paura, per quanto riguarda il pubblico, è non
mostrare troppo. Soprattutto, non sforzarsi di essere chiari. In questa
frase si può leggere gran parte della filmografia di Carpenter, in
primis le motivazioni e la filosofia che stanno alla base di questo
film.
Perché, è quasi inutile dirlo, Fog centra in pieno l' obiettivo.
E' un film che fa paura, una paura fredda e affilata, che riesce ad
avvolgere lo spettatore senza tramortirlo con effetti volgari o di
facile presa.
Inanzitutto è un film dai ritmi lenti e ipnotici. Rivederlo a distanza
di anni, dopo essere abituati alle vertigini da videoclip di questo
sciagurato periodo, fa uno strano, anche se piacevole effetto. Viene
quasi da chiedersi: "ma allora è possibile emozionare senza montaggi
frenetici da quattromila inquadrature al secondo che non permettono
neanche di capire quello che sta succedendo?"
Sarà un'ottica un po' retrò, ma Carpenter è un regista volutamente
fuori moda (un film come Fantasmi da Marte
sta lì a dimostrarlo nel migliore dei modi), cresciuto con i classici
hollywoodiani degli anni '50, innamorato di un genere tipicamente
americano, qual è il western, che nel corso della sua carriera ha
rielaborato e rivisitato di continuo, a partire da Distretto 13: Le
brigate della morte, fino al più recente (e non del tutto riuscito)
Vampires, passando, appunto, per Fog, definibile, con un po' di
azzardo, un "western soprannaturale", una riproposizione del topos
della cittadina assediata.
Quello che stupisce, guardando il film alla luce di una carriera fatta
di alti e bassi, di clamorosi successi e di flop commerciali in grado
di mandare quasi in fallimento grosse case di produzione (La Cosa è
l'esempio più illustre), è la coerenza spaventosa di questo regista,
autore nel senso più profondo del termine, sempre capace di inserire,
in ogni opera, le sue personalissime ossessioni, i suoi tocchi da
virtuoso della macchina da presa (mai fini a se stessi, ed è una gran
cosa) e la sua capacità di terrorizzare con delicatezza, fuggendo la
banalità, o le soluzioni scontate.
In quanto a banalità, il rischio che Carpenter corre scrivendo (insieme
alla sua co - sceneggiatrice, nonché produttrice Debra Hill) una storia
come Fog è grosso.
Il film si apre con una scena che abbiamo visto - e vissuto - mille
volte: un marinaio racconta a un gruppo di bambini riuniti accanto a un
falò la storia del veliero naufragato su quella costa cento anni prima.
C' era la nebbia, quella notte, ci informa subito il marinaio, la nave
si era andata a infrangere contro gli scogli, perché ingannata dalla
luce di un grosso fuoco. Da quel giorno, la nebbia non si è più
ripresentata ad Antonio Bay, ma si dice che quando tornerà, porterà con
sé le anime dei morti nel naufragio, in cerca di vendetta.
Niente di più scontato, anche gli spettatori del 1980 dovettero capire
di trovarsi in un territorio familiare, già archetipico più di
vent'anni fa.
Eppure Carpenter va avanti senza problemi, sicuro di riuscire nel suo
intento: spaventare senza sangue in un periodo in cui il corpo e le sue
deformazioni strazianti erano il vero fulcro del cinema della paura.
Ricordiamo, di sfuggita, che La notte dei morti viventi, prima vera
incursione nell' orrore fisico della decomposizione e della
lacerazione, è del 1968, mentre i padri putativi del New Horror,
L'ultima casa a sinistra di Craven e Non aprite quella porta di Hooper
risalgono, rispettivamente al 1972 e al '74.
Non siamo ancora nell'epoca dello splatter furibondo (dovremo aspettare
gli anni '80 inoltrati per questo), ma di sicuro i giorni dei castelli
stregati, degli spettri sonnacchiosi in abiti bianchi, del terrore non
ostentato, insomma, sembrano finiti.
Qualsiasi creatura della notte perde credibilità di fronte a Faccia di
Cuoio che si aggira sghignazzante con la sua moto sega, massacrando
allegramente tutto ciò che si muove.
Lo stesso Carpenter, poco tempo dopo Fog, ci regalerà un capolavoro sui
corpi trasformati, aperti, violati e fatti a pezzi (parliamo de La Cosa ), ma non adesso.
Stanotte è l'ora dei fantasmi, ombre che a stento si intravedono, che
si manifestano facendo partire gli antifurti e rompendo i vetri delle
macchine, mentre la voce calda di una speaker radiofonica annuncia il
centenario della graziosa cittadina costiera.
Questi spettri si nascondo in banchi di nebbia fosforescente, sono
presenze impalpabili eppure concretissime, e quando bussano alla tua
porta, sei sicuro di non avere scampo. Le loro mani emergono dal
biancore lattiginoso della nebbia, vera protagonista di un film che è
pura forma, meccanismo implacabile che alterna una tensione a volte
insostenibile, con studiatissimi momenti distensivi ( i battibecchi di
Janet Leigh con la sua segretaria, oppure il corteggiamento di Adrienne
Barbeau da parte del meteorologo), che riescono però a non far perdere
all'opera la sua atmosfera di presagio e minaccia incombente.
Carpenter conosce perfettamente il materiale e gli strumenti che ha a
disposizione e Fog diventa una vera sfida ai nervi dello spettatore. I
cosiddetti "BUS" (quelle entrate improvvise in campo del cattivo di
turno, inventate da Tourneaur ne Il bacio della pantera) abbondano
forse più che nello stesso Halloween e tutto il film si costruisce
sull'attesa del prossimo "salto sulla sedia". L'efficacia di Fog sta
tutta in questa sottile e profonda inquietudine, rotta dall'urlo
liberatorio quando finalmente la mano del fantasma esce di scatto dalla
nebbia e afferra il malcapitato di turno.
A differenza di Halloween ,
non c'è una netta distinzione fra bene e male. La vendetta di Kane e
dei suoi spettri lebbrosi ci sembra comprensibile, se non addirittura
legittima. E quando si ha il sospetto che questa vendetta non si
concluderà, restiamo addirittura delusi.
Delusione che dura poco,
però: il passato porta con sé il suo prezzo che, ci dice Carpenter, va
pagato fino in fondo. Il finale doppio (sembra tutto a posto, ma la
musica sale, l'ombra dello spettro esce da un angolo, e la vendetta si
compie) acquista così un senso di profonda gustizia, che lo differenzia
da quello di altri horror, presenti, passati e futuri. Forse perché
l'intento di Carpenter è, sì, quello di spaventare, ma tenendo sempre
presente la coerenza della storia che ci sta raccontando.
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Cult Movie Sci-fi
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Scritto da Paolo Fabbri
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venerdì 19 gennaio 2007 |
Nightmare
dal profondo della notte DVD
Nightmare
USA: 1984. Regia di: Wes Craven Genere: Horror Durata: 95'
Interpreti: Heather Langenkamp, Robert Englund, John Saxon, Ronee Blakley,
Johnny Depp
Recensione di: Paolo Fabbri
Springwood: Alcuni adolescenti residenti in Elm Street fanno lo stesso
strano sogno, in cui compare un uomo con il viso bruciato e degli artigli
montati sulle dita. Una sera, una giovane di nome Tina, dopo aver passato la
notte con il suo ragazzo, viene ritrovata uccisa: sul suo cadavere delle
profonde ferite procurate da dei rasoi. Nancy, amica della vittima e figlia del
capo della polizia locale, scoprirà il legame sinistro che collega Elm Street
agli strani omicidi.
Non creduta, nonostante la decimazione dei suoi amici,
dovrà affrontare le proprie paure laddove queste hanno origine: nei suoi
incubi peggiori...
Fred Krueger, mostruoso e spietato assassino con il suo temibile guanto
artigliato, è diventato l'idolo del cinema horror a partire dagli anni '80
grazie soprattutto a questa pellicola e a qualche suo buon seguito.
La storia
si sviluppa come una fiaba anderseniana, in questo caso molto macabra,
vertiginosa e soprattutto allucinante: molto “nera”, insomma. Pur non
essendo il primo horror che segue questo schema, “Nightmare” è sicuramente
uno dei risultati migliori nel suo genere: l’idea cardine attorno a cui ruota
l’intera vicenda, cioè che il sogno possa essere incisivo per la morte, è
davvero inquietante. Il regista Wes Craven ha inaugurato con questo film la cinenovela
dell'incubo, che ha come protagonista il demoniaco Fred Krueger, orrido
persecutore notturno degli adolescenti di Springwood.
Il suo marchio distintivo
è ovviamente il guanto, immortalato nella sequenza d’apertura, che ricorda i
quattro rasoi prolungati nelle dita della mano destra del celebre personaggio
Marveliano "Wolverine". E’ proprio con queste lame affilatissime
che Freddy angoscia le sue giovani vittime, prigioniere dei sogni di cui lui è
padrone, riuscendo spesso a straziarle fisicamente in deliranti conflagrazioni
sanguinolente.
Il movente degli omicidi compiuti dal maniaco si intuisce nel
corso della pellicola: i nuovi cittadini di Springwood unirono le loro forze
per eliminare Fred Krueger, serial killer pedofilo che in vita uccise diversi
bambini della zona bruciandoli nella sua caldaia "Quartier generale”.
Con i segni delle fiamme ancora sul volto, Krueger si vendica sui figli di
coloro che lo hanno ucciso, infliggendo loro notti di puro terrore e
costringendoli quindi a restare svegli (una delle frasi più popolari della
serie è proprio "Non dormire").
Nancy, la protagonista del film,
sarà la prima a reagire al mostro intuendone una fisicità che travalica il
sogno..
Il professor Craven ha diretto un vero e proprio "capolavoro mondiale
cinematografico", dando vita alle notevoli e spiccate potenzialità del
suo personaggio migliore.
Non rivelando subito il background, offre invece allo
spettatore un mosaico spezzettato da ricostruire nell'arco dei lunghi seguiti,
tra cui spicca maggiormente il terzo episodio, il quarto e l'ultimo della
serie: "Nightmare nuovo incubo", diretto ancora da Wes Craven.
Eccellente la prestazione del cast, in particolare le interpretazioni di
Robert Englund nei panni del mitico “Freddy Krueger”, Heather Langenkamp,
John Saxon e Johnny Depp.
La lusinghevole ed imperiosa musica a cura di Charles
Bernstein, l'ottima sceneggiatura e gli splendidi effetti di make-up,
impreziosiscono questo intramontabile cult elevandolo al titolo di
"Capolista del terrore".
I fan dell'orrore devono averlo
obbligatoriamente nella loro videoteca personale: è un dovere morale!
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Fantascienza
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Scritto da Marco Massacesi
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lunedì 15 gennaio 2007 |
Immortal (ad vitam)
Francia: 2004. Regia di: Enki Bilal Genere: Fantascienza Durata: 102'
Interpreti: Charlotte Rampling, Linda Hardy, Thomas Kretschmann
Recensione di: Marco Massaccesi
New York 2095. In una strana piramide flutuante nel
cielo, gli dei dell'antico Egitto stanno giudicando Horus. Nel
frattempo nella citta, una donna misteriosa viene arrestata, la donna
però possiede un potere
segreto...
Immortal (ad vitam)
23° secolo, Jill (Linda Hardy), una misteriosa donna con i capelli blu
si aggira per New York. Lei ancora non lo sa ma Horus, un dio con la
testa di falco, la sta cercando per sedurla.
La divinità, però, ha bisogno di un corpo umano, prende così le
sembianze di Alcide Nikopol (Thomas Kreschmann Il Pianista, La regina
Margot), ex prigioniero politico...
Enki Bilal con questo "Immortal ad Vitam" è alla sua terza prova da
regista dopo "Bunker Palace Hotel" e "Tykho Moon". Nato a Belgrado nel
1951 si trasferisce dopo dieci anni a Parigi dove scopre la lingua
francese, i fumetti ed il cinema. Per chi è appassionato della trilogia di Nikopol creata dalla mente
visionaria di un Bilal giovanissimo, sappia che la trasposizione
cinematografica ha dei sostanziali cambiamenti.
A partire proprio dal personaggio principale, Nikopol, che sulle tavole
era un disertore quasi pacifista nella pellicola è un rivoluzionario
mandato in ibernazione per i suoi atti sovversivi.
Ad Horus, il dio "Falco", che nei disegni era più assetato di potere e
di vendetta ed invece, nel film, condannato alla mortalità, desidera
solo tramandare la sua divinità ingravidando la neo cibernetica Jill.
In realtà tutto il concetto di divinità viene ridefinito, nei volumi a
fumetti viene visto come se gli dei fossero una sorta di comunità
vampiresca ed assetata di potere, a differenza del contesto
cinematografico la quale viene elevata ad un livello quasi solenne,
anche se in una scena li vediamo giocare a monopoli (forse una delle
poche cose riprese dal fumetto).
Ma Bilal stesso ha dichiarato che era impossibile riproporre quel mondo
futuristico ed aberrante tutto alla stessa maniera.
I disegni erano puro delirio pittorico, in ogni "vignetta" si potevano
trovare una quantità di personaggi e di idee quasi improponibili da
filmare. Vari elementi, comunque, rimangono fedeli, la gamba di ferro
"aggiustata" dal dio Horus a Nikopol, la piramide apparsa
improvvisamente sul cielo di New York (nei fumetti era Parigi), il
clima elettorale univoco,il look della "Donna Trappola" Jill.
Ad onor del vero, la pellicola, vista fuori dal contesto fumettistico,
funziona ugualmente, è ironica, intensa e visionaria. Fa parte di quei
film che non si riescono a catalogare come pura fantasy, dietro c'è ben
altro.
Il manovratore di questo mondo alternativo è uno di quei personaggi che
rivoluzionò il mondo del fumetto (insieme ad un altro grande come
Moebius) e con la macchina da presa è riuscito a renderlo fruibile a
tutti, lasciando intatta la sua spinta sovversiva e visionaria.
Affascinante, forse è questa la parola giusta, ed a chi non piace
questo genere di cose, bè, è meglio che si continui a leggere Topolino.
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