Bellico
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Scritto da Francesco Bassi
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domenica 14 gennaio 2007 |
Flags of our fathers
Titolo originale:
Flags of our fathers
USA: 2006. Regia di: Clint Eastwood Genere: Bellico Durata: 130'
Interpreti: Ryan Phillippe, Adam Beach, Jesse Bradford, Jamie Bell, Paul Walker, Neal McDonough, Joseph Cross
Sito web: www.flagsofourfathers.com
Voto: 7,5
Recensione di: Francesco Bassi
"Flags of our fathers" ovvero le bandiere del nostri padri. I padri sono i soldati americani che combatterono (e s'immolarono) nella seconda guerra mondiale. Uno dei figli sulle gesta del padre ha fatto il bestseller (che ha servito di base al film).
Il figlio si chiama James Bradley. Suo padre Doc era uno dei settantamila marines che nel febbraio del 1945 si rovesciarono sulle spiagge di Iwo Jima. Iwo Jima era(è) un isolotto del Pacifico largo
non più di una ventina di chilometri quadrati. Ma la sua importanza strategica era nel 1945 rilevantissima. Il "deserto di fuoco" come lo descrisse un vecchio film con John Wayne era la porta dei Giappone. Da lì potevano andare e venire i bombardieri destinati a dare la mazzata definitiva al Paese del Sol Levante. Questo spiega perché ad aspettare i settantamila marines c'erano almeno trentamila giapponesi armati fino ai denti e decisissimi a far pagare sanguinosamente ogni metro conquistato dagli americani.
E difatti lo pagarono il prezzo. I marines per venire a capo della resistenza nemica ci misero trenta giorni. Anche se molti a casa li per li credettero che le giornate fossero state solo quattro. Tutto perché al quinto giorno le agenzie di stampa fecero circolare una foto con sei marines che piantano la bandiera a stelle e strisce sulla cima del Suribaki, la vetta più alta di Iwo Jima. In realtà i combattimenti si protrassero sanguinosamente per altri ventisei giorni. In quel periodo tre dei sei fecero in tempo a morire.
Il film è focalizzato su quei tre: Doc Bradley (padre dell'autore del libro) Ira Hayes giovane indiano della tribù dei Pima e il portaordini diciannovenne Rene Gagnon.
Dopo Iwo Jima la guerra per loro era finita, ma non le sofferenze. Entusiasmato dalla foto di Rosenthal, il presidente Franklin Delano Roosevelt volle ritirare i tre superstiti dai combattimenti e avviarli in un giro di propaganda attraverso gli Stati Uniti. Chi meglio di loro poteva testimoniare che la guerra era giusta, santa e soprattutto prossima alla conclusione?
II guaio è che gli "eroi" tanto eroi non si sentivano. Per tutto il resto della sua vita, Doc Bradley non si stancò di ripetere al figlio che gli unici grandi uomini erano tra quelli che avevano lasciato la pelle nel deserto di fuoco. Ogni volta che gli toccava presentarsi in pubblico, e far sfavillare il medagliere, a Doc gli pareva di commettere un furto e gli veniva da vomitare. Doc però aveva una bella famiglia a sostenerlo riuscì in qualche modo a venire a capo dei suoi traumi. Meno fortunato fu Hayes. Il ragazzo indiano aveva solo la bottiglia per scacciare i suoi fantasmi. E a furia di scacciare ne mori. Piacerà anche ai nostalgici del film bellico alla John Wayne, sissignore.
Clint Eastwood ha un bel dire di avere voluto fare un guerresco "diverso" senza buoni né cattivi (e difatti ha girato di seguito una versione "giapponese" vista dalla parte dei difensori dell'isola).
In realtà vedendo "questo" film non si può fare a meno di tifare per Doc e Ira, di salire con loro sul Suribaki,di infilarsi con loro nelle caverne di Iwo, stracolme di nemici pronti a battersi fino all'ultimo uomo (per la cronaca dei trentamila difensori nipponici, più di ventunmila ci avevano lasciato le penne all'alba del trentesimo giorno).
Certo l'adrenalina dello spettatore sarebbe meno sovvimentata se per l'impresa non fosse stato radunato il "meglio" del grande professionismo americano. Il producer è nientemeno che Steven Spielberg che ha passato il testimone di regista a Eastwood con una precisa consegna: fare meglio di quanto aveva fatto lui con Salvate il soldato Ryan (consegna osservata). Certo, per osservare, Clint ha avuto un aiuto tutt'altro che indifferente dalla sceneggiatura di Paul Haggis, una delle migliori penne di Hollywood (e anche dei miglior "directors", è premio Oscar per Crash). Haggis gli ha costruito uno scenario ammirevole, secco e senza retorica nella prima parte, e ammirevolmente asciutto anche nella seconda, quando la tentazione al piagnisteo era incombente in ogni inquadratura. Un solo appunto. Ma solo uno. A Haggis e (forse) a Eastwood. Per paura di non sembrare abbastanza "politicamente corretti" i due (ex reaganiani) non hanno messo in bocca ai protagonisti un'imprecazione antigiapponese che è una. Come se fosse possibile che, in quei frangenti uno non mandi un solo accidente a un ometto giallo che gli vomita addosso col lanciafiamme.
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Thriller
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Scritto da Federico Albani
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domenica 14 gennaio 2007 |
Firewall accesso negato
Firewall
durata: 100'
video: 2,40:1 formato widescreen anamorfico 16/9
audio: Italiano, Inglese (Dolby Digital 5.1)
sottotitoli: Inglese, Italiano, Danese, Arabo, Ebraico, Islandese
extra [*sottotitolati in italiano] : Menù interattivi, Accesso diretto alle scene, conversazione con il regista e Harrison Ford*, intervista allo sceneggiatore, trailer
custodia: amaray
produzione: Warner
Eccellente la resa video per un film che non propone una fotografia stilizzata come ormai è da costume, bensì un look molto naturale che viene riproposto al meglio dall'encoding di questo DVD. Le immagini sono saturate al punto giusto, con luminosità e contrasto che si mantengono stabili anche nelle molte scene scure.
La definizione è stabilmente sopra la media, e non si registrano momenti critici che rendono meno piacevole la visione.
Non si ravvisano particolari difetti di compressione.
La colonna sonora è minimale, così come i suoni nelle scene di violenza, e aderisce perfettamente allo stile del film.
L'ambiente sonoro quindi non è particolarmente ricco, ma grazie ad un buon uso del surround l'ascolto è comunque coinvolgente e permette di cogliere al meglio i dialoghi grazie ad un mix curato che non tenta di dare maggiore brio ed enfasi al suono attraverso innaturali alterazioni del volume degli effetti sonori.
Buoni gli extra che vedono particolarmente attivo il regista David Cronenberg: è proprio lui il protagonista dell valido commento audio e sono sue le spiegazioni relative alle riprese e ai motivi dell'esclusione dal film della scena numero 44.
Risulta molto informativo lo speciale "Act of Violence" che affronta le varie fasi della lavorazione, mentre sono meno interessanti - ma comunque entrambe curiose da vedere - le featurette sulla presentazione del film a Cannes e le differenze tra la versione americana del film e quella europea.
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Horror
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Scritto da Fabio Bolelli
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domenica 14 gennaio 2007 |
Final destination 3
Titolo originale:
Final destination 3
USA: 2005. Regia di: James Wong Genere: Horror Durata: 115'
Interpreti: Mary Elizabeth Winstead, Ryan Merriman, Harris Allan, Jessica Amlee, Texas Battle, Jamie Isac
Recensione di: Fabio Bolelli
Prendete la struttura di una qualsiasi pellicola appartenente a quel sottogenere dell'horror meglio conosciuto come slasher, il quale prevede fantasiosi omicidi a ripetizione ai danni di un gruppo di persone in un luogo più o meno chiuso, e sostituite l'assassino o la creatura mostruosa di turno con la morte in persona, rappresentata attraverso gli incidenti domestici che provvedono quotidianamente a far calare un barlume di tristezza sul mondo. Questo deve aver pensato l'esordiente sceneggiatore Jeffrey Reddick quando, nel 2000, firmò il soggetto di Final destination, primo lungometraggio cinematografico diretto dall'x-filesiano James Wong, in cui assistevamo al tragico, progressivo sterminio dei sopravvissuti ad un disastro aereo. Mix non del tutto riuscito di tensione ed ironia, Final destination ha finito ben presto per trasformarsi (ingiustamente) in un vero e proprio cult-movie nell'ambito del cinema indirizzato ai teen-agers, al pari livello di prodotti goliardici del calibro di American pie (non a caso, i produttori sono gli stessi Craig Perry e Warren Zide).
Ora, dopo l'ottimo, violentissimo Final destination 2, del 2003, diretto da quel David Richard Ellis in seguito responsabile del thriller Cellular, James Wong torna dietro la macchina da presa per dedicarsi al terzo capitolo della saga, affiancato in fase di sceneggiatura da Glen Morgan, già co-autore dello script del capostipite.
Niente aeroplani difettosi, né spaventose catastrofi stradali in questo nuovo episodio, bensì un gruppo di amici che decide di festeggiare il conseguimento del diploma in un luna park, dove, grazie alla sensazione premonitrice di Wendy, riescono quasi tutti ad evitare le mortali conseguenze dell'improvviso deragliamento dei binari delle montagne russe, all'interno di una sequenza che farà la gioia di chi ha amato Rollercoaster-Il grande brivido (1977) di James Goldstone. Da questo momento in poi, come vuole la legge del sequel, viene tirato nuovamente in ballo lo stesso, identico scheletro narrativo che fu alla base dei due film precedenti, con tanto di Tony Todd che torna, però, soltanto per prestare la voce al diavolo (almeno nella versione originale). Quindi, alla già citata Wendy, con il volto della Mary Elizabeth Winstead di Sky high-Scuola di superpoteri (2005), si affianca Kevin, interpretato dal Ryan Merriman di Halloween-La resurrezione (2002), nel tentativo di sfuggire all'incombente destino negativo che, intanto, sta già provvedendo a cancellare dalla faccia della Terra i loro conoscenti.
Senza dimenticare di affibbiare ai protagonisti i nomi di più o meno noti registi del panorama horror (si và da Romero a Ulmer, a Wise, a Halperin), Wong, tra pistole sparachiodi in azione, veicoli fuori controllo ed abbondanti spargimenti di liquido rosso, sembra ormai essere interessato soltanto ad inscenare la crudele mattanza, attraverso una vicenda basata in maniera esclusiva sulla continua ricerca di atroci ed originali sequenze di morte. Ma, pur generando efficacemente tensione, nel corso dell'attesa che precede i diversi, impressionanti incidenti, non riesce in alcun modo ad eguagliare il risultato ottenuto da Ellis, decisamente più abile nel dosare violenza ed ironia. In ogni caso, ciò poco interessa ai seguaci dello splatter su celluloide, i quali usciranno probabilmente soddisfatti e divertiti dalla sala, mentre gli altri dovranno accontentarsi di aver compreso, almeno, che non sempre la palestra ed il solarium fanno bene al corpo.
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Fantascienza
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Scritto da Federico Albani
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domenica 14 gennaio 2007 |
Fantasmi da Marte
Ghost of Mars
durata: 110'
video: 2,35:1 formato widescreen anamorfico 16/9
audio: Italiano, Inglese, Spagnolo (Dolby Digital 5.1)
sottotitoli: Italiano, Inglese, Spagnolo
extra [*sottotitolati in italiano] : Menù interattivi, Accesso diretto alle scene, Videodiario*, Commento del regista John Carpenter in compagnia di Natasha Henstridge*, Girando Fantasmi da marte*, Effetti speciali*, Trailer, Filmografie
custodia: amaray
produzione: Sony
Buona la resa visiva di questo film che, bisogna dirlo subito, non è molto facile per l'encoding, in quanto molto cupo e con scene sempre illuminate in maniera non molto elevata.
Detto ciò, si apprezza ancor di più il lavoro della Columbia.
Efficaci i livelli di luminosità e contrasto, che permettono di apprezzare il croma e delineano molto bene le tonalità scure. Stabile l'immagine anche per effetto di una definizione quasi sempre adeguata, ma limitata in taluni frangenti da flessioni che riguardano in particolare gli elementi in secondo piano.
La compressione per fortuna non crea particolari distorsioni.
Entusiasmante l'ascolto di questa traccia in Dolby 5.1, dal suono potente e direzionale che sfrutta tutti i canali a disposizione grazie ad una separazione convincente.
Stabile e brillante il segnale del fronte anteriore, sempre egregio nel proporre i dialoghi. Ogni tanto si avverte un leggero "schiacciamento" del parlato rispetto alle musiche ed effetti dei canali sx/dx.
Grande divertimento viene fornito dai canali surround, briosi e separati ottimamente, corredati inoltre da una spazialità che amplifica l'effetto delle scene d'azione. Apprezzabile il contributo del subwoofer, discreto e potente all'occorrenza.
Corposa la quantità dei contenuti speciali. Si parte con il commento del film, che è in linea con tutti gli altri fatti da Carpenter assieme ai suoi attori: infatti tende spesso e volentieri a perdersi in chiacchiere e a divertirsi con Natasha Enstridge. La cosa non è una pecca, anzi è simpatica.
Sono due i documentari sulla lavorazione, mentre il Video-diario altro non è che un backstage senza commento, ma con i suoi di presa diretta presi dal set.
Per completare il tutto non mancano materiale testuale da leggere con calma e i trailer promozionali.
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Avventura
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Scritto da Diego Altobelli
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sabato 13 gennaio 2007 |
Eragon
Titolo originale: Eragon
USA: 2006. Regia di: Stefen Fangmeier Genere: Avventura Durata: 128'
Interpreti: Jeremy Irons, John Malkovich, Edward Speleers, Djimon Hounsou, Robert Carlyle, Alun Armstrong
Sito web: www.eragonmovie.com
Voto: 5
Recensione di: Diego Altobelli
Dopo il flop colossale di "Dungeons and Dragons", pellicola fantasy del 2000 ispirata ai giochi di ruolo più famosi al Mondo, Jeremy Irons ci riprova con lo stesso fascinoso genere narrativo: in "Eragon", questa volta, veste i panni del buon mentore Brom che deve istruire il giovane Eragon alle arti mistiche dei Cavalieri dei Draghi. Sul cammino del giovane però si frappone John Malkovich nelle vesti del cattivissimo Re Galbatorix, e il suo braccio destro Durza, Maestro delle Arti Oscure. A Eragon e al suo drago Saphira spetta così il difficile compito di riportare la pace nelle terre di Alagaesia... Tratta dai best sellers della saga fantasy di Christopher Paolini, che comprende l'omonimo "Eragon" e il seguito "Eldest", la pellicola girata da Stefen Fangmeier, qui al suo primo vero debutto come regista, tenta di imporsi nel panorama natalizio di commedie e cartoni animati con un film che vuole rendere giustizia a uno dei personaggi letterari più apprezzati degli ultimi anni. "Eragon" è un film fantasy dal gusto un pò retrò: in lui non vanno ricercati particolari vezzi originali o innovativi, ma solo l'intenzione di raccontare una nuova mitologia di eroi, molto più simili ai supereroi dei fumetti che ai cavalieri classici delle leggende. Eragon somiglia più ad un Superman con cappa e spada che ad un guerriero fantasy: è capace di vedere oltre la materia solida e a lunghe distanze, ha poteri curativi di varia natura, spara raggi energetici, e ha una simbiosi telepatica con il suo drago, Saphira, lo stesso che gli conferisce i poteri. Inoltre, proprio come i supereroi dei comics americani, si carica del peso del Mondo "suo malgrado", prendendo coscienza di sé lentamente, proprio come un neo-Uomoragno. Ma a parte la natura intima del personaggio principale, in "Eragon" le innovazioni e le idee originali si fermano lì, proponendo una storia che, a ben vedere, non va molto oltre il: "Salviamo la principessa; uccidiamo il cattivo; ripopoliamo il Mondo". Alla pellicola quindi viene a mancare un pò di quella profondità che invece è necessaria al genere fantasy proprio per risultare il più possibile credibile e avvincente. Dal punto di vista registico quindi il film pare muoversi troppo in fretta, con stacchi brevi e solo insinuanti, mai davvero esplicativi sulla trama in corso; in più, pur essendo accademicamente corretta, la regia pare perdersi troppo in carrellate e panoramiche più intente a descrivere i bellissimi paesaggi che a comunicare effettivamente qualcosa allo spettatore. Forgiato male.
Alla guida del drago Saphira, doppiato (senza pathos) da Ilaria D'Amico, troviamo il diciottenne Ed Speelers, al suo debutto davanti una cinepresa. Ragazzino che, pur non avendo un viso propriamente interessante, si dà fare come può e alla fine riesce pure ad affezionare il pubblico generalmente perplesso in sala. La sua interpretazione, lungi dall'essere convincente, lascia comunque ben sperare nel possibile seguito che sarà realizzato presto.
Il film infatti non finisce, lasciando un finale molto aperto.
Ridateci Frodo e il suo anello...
Insomma "Eragon" ci prova con dignità e orgoglio ad elevarsi a nuovo paradigma fantasy, lungi dal riuscirci però, il film rimane un tentativo di genere a metà strada tra gli anni Ottanta di "Krull" e gli anni Novanta di "Harry Potter". In assenza di vera profondità narrativa, ad onor del giusto presente nei libri di Paolini, alle terre di Alagaesia rimane la speranza di migliorare il proprio futuro cinematografico. E chissà che ad Eragon non riesca anche questo miracolo...
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