Titolo: Cogan - Killing Them Softly
Titolo originale: Cogan - Killing Them Softly
USA: 2012. Regia di: Andrew Dominik Genere: Thriller Durata: 100'
Interpreti: Brad Pitt, Bella Heathcote, Ray Liotta, Mark “Markie”
Trattman, James Gandolfini, Richard Jenkins, Vince Curatola, Scoot
McNairy Titolo originale Killing Them Softly
Sito web ufficiale: www.killingthemsoftlymovie.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 18/10/2012
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Marginale
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Non conosciamo lo scrittore George V. Higgins, tantomeno il suo romanzo Cogan,
ma ad istinto deve essere un bel romanzo, senza le solite lungaggini e prive di
pesantezze psicologiche.
La storia è periferica, senza importanza, con uomini
senza qualità. Ma che vivono un rapporto con la vita di precarietà e di lotta,
che vivono e muoiono con la stessa passività, che sanno di essere in fondo soli
ed hanno la coscienza che il loro Paese, gli Stati Uniti, non sono quello che
dichiarano di essere, un luogo di libertà, di democrazia e di una seconda
possibilità, bensì un luogo di esseri umani soli nella folla, egoisti e
indifferenti.
E scusate se è poco. Soprattutto per un libro che è stato
scritto quasi quarant’anni fa ma che filmicamente è stato ambientato quasi ai
nostri giorni, durante la corsa alle presidenziali americane del 2008 tra Obama
e McCain. In un film infondo di genere, di azione senza fantasmagorie
tecniche troviamo frasi del tipo “ L'America non è un Paese. È un business “,
oppure “ In un periodo di crisi l’unico modo per far soldi è rubarli a chi li
ha già rubati “ o ancora “, “ Io vivo in America e in America sei sempre solo
“.
Il bravo ma non eccelso regista neozelandese Andrew Dominik ( quarantenne, al
suo quarto film dopo “ Chopper “, “ L’assassinio di Jesse James… “ e “ Blonde “
) ha spostato l’epoca della storia e il luogo - che nel romanzo era ambientato
a Boston negli anni Settanta - .
La città adesso è New Orleans e i giorni sono
quelli della fine del mandato di Bush, prima delle elezioni di Obama, quando la
crisi di oggi era iniziata ed era già dura. New Orleans è la città in cui l’
uragano Katrina, i suoi effetti e il liberismo selvaggio, mostrano la
devastazione di un Paese utili a quello che ci vuole raccontare Dominik:
infatti la prima scena è su una periferia disfatta, senza alcuna anima, con
devastazione dappertutto e sullo sfondo il rumore di treni merci e le sirene
della polizia.
Due poveri cristi sbandati, Frankie ( un bravissimo Scoot McNairy – lo potrete
vedere in questi giorni anche nel film Argo ) e Russell ( Ben Mendelsohn,
bravissimo nel ruolo del tossico ) vanno da un piccolo delinquente che gestisce
una lavanderia per cercare un qualsiasi lavoretto e Johnny Amato ha qualcosa
per loro.
Fare un’irruzione in una bisca clandestina e durante una partita di
poker rubare i soldi che ci sono più quelli dei clienti. I due resistono alla
proposta per il timore della mafia e della sua reazione, ma Amato è sicuro di
quello che dice: il gestore della bisca Markie Trattman ( Ray Liotta ) sarà il
colpevole del furto giacchè in passato ha organizzato lui un colpo simile.
Tutto procede come previsto e sembra che tutto vada bene, ma la mafia – tramite
un avvocato dall’aspetto bonario e pacifico - convoca Jackie Cogan ( Brad Pitt
) un sicario fantasma, dal carattere tranquillo, dalle idee sovversive ma anche
molto preciso e fiscale.
Gli viene chiesto di occuparsi della cosa, di pestare
Trattman, anche se sanno che non c’entra, solo per dare l’esempio, e di
scoprire ed eliminare i veri colpevoli riportando l’ordine e mettendo a tacere
le chiacchiere a colpi di calibro 38.
Nei pochi giorni Cogan riesce a scoprire
tutto e a compiere il suo lavoro, non prima però di aver incontrato un killer
suo amico ( un James Gandolfini perfetto, ma forse un po’ troppo lungo ), un
gorilla italoamericano, qualche imbroglioncello e qualche scroccone.
Il film cerca di coniugare una storia di genere, crime story, con un discorso
politico sia interno alla storia che esterno, con le ripetute voci in off di
Bush e di Obama e raccontate continuamente dalla radio e dalla televisione.
Ma
la sceneggiatura fatica ad amalgamare bene queste intenzioni e a volte sembrano
due mondi paralleli che non si uniscono fluidamente. Originale invece la
metafora della crisi vista dal mondo della malavita in cui le organizzazioni
criminali funzionano come aziende ( praticano nello stesso modo il concetto
estetico ed etico ).
La cupola è un sistema come quello bancario, prevede
debiti e crediti, interessi, costi da sostenere.
Il costo di un killer si alza
e si abbassa in base alle garanzie offerte e a quando denaro circola, proprio
come ogni altro commercio di questi tempi .
Non nuovissima l’idea che gli
Stati Uniti non esistono come Nazione, ma sono l’aggregato di uomini fuori
dalla legge.
Un inizio che coinvolge lo spettatore, per le atmosfere, per il tono serrato,
sboccato e cinico dei dialoghi e per la scelta del cast molto efficace, ma
dopo un po’ sembra che la storia e i suoi personaggi si avvitino su se stessi e
si aspetta il finale serenamente. Probabilmente la stessa sceneggiatura
affidata ad un altro regista avrebbe lasciato un segno profondo invece può
apparire un po’ pretenziosa.
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