Il siero della vanità
Titolo originale: Il siero della vanità
Italia: 2003 Regia di: Alex Infascelli Genere: Thriller Durata: 97'
Interpreti: Margherita Buy, Francesca Neri, Barbara Bobulova, Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Ninni Bruschetta, Maddalena Maggi
Sito web:
Nelle sale dal: 16/04/2004
Voto: 7
Trailer
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Recensione di: Francesco Manca
“La televisione è un mezzo che si rigenera sempre”.
E’ in questa frase pronunciata dalla fredda e cinica Sonia Norton (Francesca Neri) che si racchiude l’essenza de “Il siero della vanità”, opera seconda del giovane regista nostrano Alex Infascelli, reduce dai numerosi riconoscimenti ottenuti per il precedente “Almost Blue” (2000), che gli è fruttato, tra l’altro, un David Di Donatello e un Nastro d’Argento quale miglior regista esordiente.
E’ bene mettere subito in evidenza il vero intento della pellicola di Infascelli, che non è tanto quello di rivolgere una critica verso la televisione in sé quanto alle persone che la fanno.
Basato su un soggetto di Niccolò Ammaniti, “Il siero della vanità” racconta l’inquietante vicenda di 5 volti noti della televisione italiana che spariscono uno ad uno in circostanze misteriose. Il caso viene affidato all’(ex)investigatrice Lucia Allasco (Margherita Buy) e all’investigatore Franco Berardi (Valerio Mastandrea), i quali vengono alla scoperta di alcuni collegamenti tra le 5 persone scomparse e il famoso “Sonia Norton Show”, del quale gli stessi sono stati ospiti in passato e/o in tempi più recenti.
Il regista sceglie un percorso alquanto ostico ed impetuoso al fine di soddisfare il suo intento: il giallo.
Al suono di questa parola sorgerebbero sicuramente in mente storie di sangue, omicidi, serial-killer, psicopatici etc. Ebbene, in questo film sono sì presenti tutti questi elementi ma aspettarsi un lavoro sulla falsa riga di quelli di nomi come Argento (uno su tutti) è quanto di più sbagliato si possa immaginare. Infascelli non punta alla suspance da mistery-story, ma cerca di sconvolgere lo spettatore con qualcosa che, almeno in questo caso, è molto più angosciante e, ahimè, realistico: lo squallore.
Visto in questi termini, il plot del film ricorda, a grandi linee, quello della saga di “Saw – L’enigmista”; le 5 vittime vengono legate a delle sedie in una grande stanza dalle pareti bianche costretti a mettere in scena lo stesso show di cui erano i protagonisti. Tra questi individui c’è veramente di tutto: chi ha perso notorietà e si è rifugiato nella tossicodipendenza, chi trasmette al pubblico nient’altro che menzogne al solo scopo di lucro, chi si esibisce facendo il “pagliaccio” etc.
Infascelli non si schiera dalla parte di chi vuole in qualche modo “vendicarsi” contro queste persone ma non esita a “seviziare” l’arrivismo e la falsità che dominano l’attuale ambiente televisivo italiano.
Il suo obiettivo, almeno dal punto di vista di chi scrive, può considerarsi raggiunto, nonostante non si possano trascurare alcuni difetti piuttosto evidenti, a cominciare da una sceneggiatura, firmata da Antonio Manzini, non certo priva di buchi e di passaggi molto approssimativi e superficiali, che comunque non sottraggono al film una certa dose di pathos e tensione che si mantiene elevata fino alla conclusione.
Di grande effetto la colonna sonora curata da Marco Castoldi alias Morgan dei Bluvertigo, interessanti la fotografia di Stefano Ricciotti e il montaggio di Esmeralda Calabria.
In definitiva, “Il siero della vanità” non è un’opera che si merita l’etichetta di “fenomeno cinematografico” ma è più che apprezzabile il coraggio dimostrato dal giovane Infascelli di portare sul grande schermo un tema molto attuale e parecchio difficile da raccontare attraverso il linguaggio filmico, che ci apre gli occhi su un aspetto del nostro show business a noi forse non proprio nuovo ma sicuramente originale ed inquietante.
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