Rainbow Eyes
Titolo originale: Rainbow Eyes
Corea: 2007. Regia di: Yang Yoon-ho Thriller Durata: 99'
Interpreti: Kim Gang-woo, Kim Min-seon, Lee Soo-kyeong, Park Won-sang, Oh Ji-yeong, Jeon Chang-geol, Choi Chang-gyun
Sito web:
Voto: 6,5
Recensione di: Nicola Picchi
Gli ispettori di polizia Cho Kyeong-yoon e Park Eun-joo indagano sull’omicidio del ricco proprietario di un centro sportivo, ucciso con venti coltellate. Gli unici indizi che riescono a rintracciare sul luogo del delitto sono un capello ed alcune macchie di sangue, da cui ricavano il gruppo sanguigno dell’assassino. Inizialmente i loro sospetti si appuntano su un istruttore di nuoto, che forse intratteneva con il defunto una relazione omosessuale, ma ben presto anche quest’ultimo viene assassinato nello stesso modo. I poliziotti scopriranno che le due vittime, quando erano sotto le armi, stuprarono un loro commilitone, Lee Yoon-suh, che in seguito tentò il suicidio rimanendo orribilmente sfigurato. Contemporaneamente Kyeong-yoon, che era stato compagno di scuola di Lee Yoon-suh, ne incontra la sorella, che gli chiede di ritrovarlo. Proseguendo nelle indagini, il poliziotto scoprirà che il colpevole gli è molto più vicino di quanto si immagini.
Yang Yoon-ho è un regista di indubbie qualità tecniche ma diseguale, e le sue produzioni sono ora riuscite (“Holiday”), ora decisamente fallimentari (il terribile “Libera me”), e il risultato dipende in massima parte dal soggetto che si ritrova per le mani. “Rainbow Eyes” sta nel mezzo, nel senso che, cercando di rinnovare il tipico film con serial-killer, rimescola le carte con tanti e tali iperbolici twist di sceneggiatura da risultare, se non proprio riuscitissimo, quanto meno interessante, oltre che un sicuro “guilty pleasure” per molti. Un altro motivo di interesse è l’ottima interpretazione di Kim Gang-woo, recentemente premiato a Torino come miglior attore per “The Railroad”: il suo Kyeong-yoon lascia trapelare con efficacia l’omosessualità del personaggio, in una società omofobica che lo costringe ad enfatizzare il suo lato maschile, ed esprime con molta efficacia il contrasto conflittuale tra le due parti.
Il tema su cui si esercita “Rainbow Eyes” è infatti quello del doppio: doppia sessualità, ambiguità pubblica e privata di tutti i personaggi, da Kyeong-yoon alla sua fidanzata Soo-jin fino all’affascinante cantante Oh Ji-yeong, amante delle prime due vittime, ma anche (forse) doppio assassino. Tutto il pathos delle relazioni affettive è riservato a personaggi socialmente devianti , come se lo spazio emotivo dei protagonisti fosse legato alla fluttuante indeterminatezza dell’identità sessuale, mentre le relazioni uomo-donna sono irrisolte, come quella tra il poliziotto e la sua collega, o destinate a sfociare nella sopraffazione, come nella scena dell’appostamento nell’appartamento.
La linea narrativa oscilla tra presente e viratissimi flashback rivelatori e, anche se alla fine sfiora l’improbabile, rasentando “La moglie del soldato” e concedendosi un finale alla “Thelma e Louise” che più mélo non si potrebbe, non si può che ammirare la volontà di far deragliare un genere in cui è difficile dire qualcosa di nuovo. La regia di Yang Yoon-ho è adeguatamente nervosa, sia quando insegue l’irrequieto Kyeong-yoon durante le sue corse notturne in motocicletta per una città striata dal sangue e dai neon delle insegne pubblicitarie, che nelle scene più propriamente thriller, dove robuste ma centellinate dosi di splatter non deluderanno gli appassionati. Un risultato convincente, che sarebbe interessante paragonare ad un altro film giunto recentemente dalla Corea e che tratta lo stesso tema, “Our Town”, dove il tema del killer seriale viene affrontato in termini più ortodossi, concentrandosi sulla deriva psicotica dei protagonisti e sull’alienazione urbana in una città volutamente indefinita.
|