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Valutazione utente: / 9
ScarsoOttimo 
Scritto da Roberto Fedeli   
giovedì 05 novembre 2009

Riflessi in uno specchio scuro
Titolo originale: The Offence
Gran Bretagna: 1973 Regia di: Sidney Lumet Genere: Thriller Durata: 112'
Interpreti: Sean Connery, Trevor Howard, Ian Bannen, Vivien Lee, Derek Newark
Sito web: 
Nelle sale dal: 1973
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Roberto Fedeli
L'aggettivo ideale: Ambiguo

riflessiinunospecchioscuro_leggero.jpgDall’inusuale war movie “A prova di errore”, al “Viscontiano” melodramma “Uno sguardo dal ponte”, il poliedrico Sidney Lumet questa volta focalizza l’attenzione su un giallo atipico ed interessante.

Il sergente Johnson (un buon Sean Connery) e la sua squadra sono sulle tracce di un maniaco sessuale che ha da poco mietuto la sua ultima vittima (una dodicenne).
La polizia non riesce a dare un volto al depravato ed il protagonista vira deciso su un certo Baxter (un sorprendente Ian Bannet) scovato a vagabondare nella notte.
Dopo averlo vessato pesantemente nell’interrogatorio, Johnson ne causa il ricovero d’urgenza in ospedale.
Il protagonista dell’opera è un eroe negativo che esprime, attraverso la sua irruenza ed il suo egocentrismo, la propria ambiguità psichica.
Come dimostra la sequenza d’apertura, le azioni della sua infame persona sono seguite costantemente da un anello di nebbia; è la foschia della sua mente che preclude la nostra visione di chiarezza. Le allucinazioni, i ricordi e gli sdoppiamenti di personalità costellano l’intero prodotto. Più che un film, è lo spettacolo della mente del protagonista.
Quando Johnson  viene messo al corrente della morte in ospedale del presunto stupratore, da lui precedentemente percosso, l’inquadratura appare svuotata del suo soggetto. Attraverso il relegamento del sergente all’estremità destra del frame, viene svelata la sua individualità ormai minacciata.
Da questo momento assistiamo al suo trapasso da soggetto attivo ad oggetto intimorito. I segni della colpa divengono leggibili attraverso il montaggio parallelo, che alterna l’immagine del sergente che divarica le gambe della moglie, al frame dello stupratore che molesta la bambina.
Il successivo interrogatorio del sovrintendente operativo ne intacca la psiche e ne esaspera la debolezza.
E’ l’unica persona che riesce a tenergli testa. Quando viene interpellato,infatti, il protagonista ricopre sempre la porzione esterna dell’inquadratura, in chiara posizione subalterna.

Solo attraverso il flashback conclusivo viene ostentata integralmente la realtà dei fatti avvenuti durante l’aspro colloquio tra il sergente ed il presunto maniaco. Le nostre domande trovano finalmente delle risposte limpide, in precedenza solo abbozzate.
La scena in slow motion iniziale acquista un senso compiuto solo dopo la sua quarta riproposizione finale sullo schermo, che accentua l’impianto circolare dell’intera pellicola.

 
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