Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street
Titolo originale: Sweeney Todd: The Demon barber of Fleet Street
USA: 2007. Regia di: Tim Burton Genere: Thriller Durata: 116'
Interpreti: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha
Baron Cohen, Laura Michelle Kelly, Timothy Spall, Anthony Stewart Head,
Jamie Campbell Bower, Anthony Head
Sito web: www.sweeneytoddmovie.com
Nelle sale dal: 22/02/2008
Voto: 9,5
Recensione di: Alessandro Beria
Come definire “Sweeney Todd”, il film, ovviamente, non il barbiere?
Forse ‘noir carnevalesco’, dove il carnevale in bianco e nero rovescia i ruoli e unisce l’Altissimo all’Abisso, sprofondando ed annullando, tra i chiaroscuro della scena, ogni distanza sociale in una Londra di fine ‘800 barbara ed estranea a se stessa. Bene e male si con-fondono per rendere l’idea della città moderna, del degrado che, più che fisico e anche più che morale, risiede profondo nella pura essenza dell’uomo, nel degrado “animale”: l’anima(lità) -e l’anima- di uomini e donne è dislocata, scomposta, devastata, sterminata come i migliaia di rigagnoli delle strade di Londra. In questa (invero molto plastica) co-involgente ed avvolgente ‘maleodorante fogna umana’, retta su istituzioni corrotte, immolata alla ruggine dell’industria pesante, al lugubre stridio dei carri e all’odore del fumo che dalla finestra del barbiere da lontano si dipana come fumo dell’anima; in questo inferno che solo nel passato sembra dis-porre la luce, che nel presente scintilla solo nella lucida e veritiera (‘che dice il vero’, e il vero è la vendetta) lama del barbiere; in questo paesaggio dell’anima s-composta che vive tanto del/nel Bene quanto del/nel Male, ecco che si scioglie la musica possente ereditata dal musical di Stephen Sondheim e vivificata da un eccellente Johnny Depp e da una forse ancor più brava Helena Bonham Carter, il barbiere e la compagna diabolica, quest’ultima partecipe delle figure del tradimento che, in fondo, sono il senso più profondo alla base di ogni (bella) storia di vendetta. Riecheggia un po’ Kill Bill? Forse. Ma qui tutto è più profondo, anzi, è proprio tutto un continuo richiamo al sotterraneo, a ‘ciò che sta sotto’, al fondo: il fondo della strada, il fondo della cantina per la carne, il fondo del forno, per dir così, ‘crematorio’ e anche ‘pasticciere’, il fondo della bottiglia di Gin scolata, che porta con sé il fondo del brefotrofio cui rimanda, ciò che sta sotto, nella carne del pasticcio, ciò che si vede sullo s-fondo dalla finestra del Barbiere e che è notte senza fondo… insomma il fondo ovunque richiama il fondo. In questo s-profondamento, il Barbiere possiede il luccichio dell’Universo Londra: e cioè i ‘suoi amici’, le lame fedeli di argento che non si è ossidato e che dal buio ri-splendono. Il Barbiere ri-entra in se stesso e può, finalmente, dire in un’estasi che è quasi orgasmo: ‘ora il mio braccio è completo.
Qui occorre fermarsi e fornire due note sulla storia, che è presto detta: il barbiere Sweeney Todd , noto una volta come Benjamin Barker, ritorna a Londra dopo un ingiusto esilio in una lontana prigione. Giunge a Londra con un unico pensiero: vendicarsi del giudice Turpin (echeggia di turpe pure nel nome J), colui che ha sentenziato la condanna di reclusione in quanto innamorato della donna di Barker. Ritornato, egli trova, sotto la sua ex-bottega, una certa Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter), che ha aperto un negozio di ‘pasticci di carne’. Costei era stata sempre segretamente innamorata del barbiere e, raccontando che la moglie era ormai morta suicida, coopta il nuovo Barbiere, sotto le spoglie del Sweeny Todd del titolo (che, per quel che so di lingue, mi suona come una sorta di ‘Il Solitario dalle spalle scarne’), nell’impresa di pro-gettare una vita felice, tra sogni di luce e di mare, da raggiungere a tutti i costi, a mezzo di tutti i fini. Insomma, il Barbiere passato e quello presente, il primo per odio, il secondo per amore, è tradito da coloro che sono con lui. La vendetta sarà dunque irrevocabile e totale. E cieca, visto che il Barbiere Todd non riconosce la moglie nella vecchia pazza che girovaga intorno al ‘maligno’ della bottega.
Tornando al ‘braccio’ ri-composto dalle lame argentee, e quindi ‘potente’, di Todd, l’altra figura della luce ce la porta la chioma d’oro della donna amata da un giovane marinaio (che per volere di intreccio ha incontrato Todd sulla nave del ritorno): la figlia di Todd dai capelli d’oro, Johanna, che è sempre ‘sentita’ (‘I feel you, Johanna’) e ‘cantata’ nel film, anche se compare per pochi istanti. Anche Johanna è ‘ospite’ del maligno e, diremmo oggi, ‘malato’ giudice Turpin, che la segrega in camera, la guarda da un foro nel muro (un foro simile c’è anche nelle due versioni di Psicho, che di anime malate non sono certi privi), e non si fa mancare una biblioteca ricca dei testi ‘più esotici’ nel campo degli amori sensuali, che nel film si oppongono a quelli celestiali espressi per sempre nel felice ritornello ‘I feel you, Johanna!’.
E così il film, impostata la trama per sommi capi, si snoda inizialmente diabolico, nel senso della piena dis-giunzione (dia-ballein), che separa mondi oscuri, il presente, da mondi chiari, il passato; ma questa pulsione diabolica si dissolve nell’unione finale degli opposti: ognuno è compromesso, ognuno ha in sé, in proporzioni diverse, Bene e Male: la donna di Sweeny Todd, Mrs. Lovett (mi suona un po’ come ‘amorino’, cmq sempre un po’ marcescente), incarna l’insieme degli opposti, è bella, eppure è brutta, ama sì Mr. Todd, ma di una sorta di amore egocentrico ed esclusivo tale da trasformarla nel diavolo in persona, quando mente per secondi fini, quando tradisce la fiducia di Todd e, per un sogno di vita luminosa, quando maciulla esseri umani per ricavarne ‘carne da vendere’; Mrs. Lovett emerge ed è liminare all’abisso indiviso, quando ancora tutti i sensi sono indefiniti; ella è madre e puttana, è sorella ed amante, è idealista (si pensi alle spiagge e al futuro), e poi ancora pragmatica, ironica e tragica. Finirà, essendo diavolo, nelle fiamme.
Oltre il diabolico, il barbiere è tagliente tanto nello spirito (e nello spiritoso: si pensi alle risposte date a Mrs. Lovett o quando compare nel futuro della pasticciera in pieno contrasto di umore e di colore, e scene discorrendo), quanto nel viso, nel corpo e nel portamento. Infatti, (com)porta con sè la sorpresa colta nel tradimento e la rabbia che alimenta e sostiene la vita per la vendetta. È un burattino con un obiettivo fisso: scatta ad ogni movimento, rotea gli occhi scuri con violenta spudoratezza, profana i corpi con cui viene a contatto, magari cantilenando un falsetto. Melodiosi e funesti i ‘walzer della morte’ ballati dal Barbiere nell’orgia di corpi tagliati, separati dalla vita, sprofondati nell’abisso di un forno in cantina che, tra le fogne e il fumo in cielo, nulla lascia trapelare (e trasudare), se non l’odore marcescente della vita andata, de-composta nei pasticci di carne di Mrs. Lovett, ri-gettata nell’indistinto sotto forma di cibo, che si ingoia, si gusta, si lecca nel regno di un ristorante il cui gestore è Caos. Mr “Todd–Caos” è essere (all’)estremo, il suo segno distintivo non sono tanto gli amici rasoi, ma la sua certezza nell’irrimediabile, il che fa di lui persona ir-rimedibile, come coglie solo colei che è stata tradita, privata della purezza, dell’amore e della vita, immersa nel dolore e nella vergogna durante un ballo in maschera (torna il tema carnevalesco), insomma la donna che può ri-conoscere e urlare il maligno che sa dimostrarsi la vita nella sua ipocrita compostezza. La donna cui ci riferiamo è, manco a dirlo, la donna amata e ritenuta perduta. Nessuno si è scomposto nel gioco delle maschere per s-mascherare la violenza e per questo nel film ella è scomposta, devastata nel corpo e nella mente dal veleno dell’uomo, più che dall’arsenico ingoiato. Che dire del rapporto tra le due donne del Barbiere? Diciamo che “l’altra sapeva”. Scontro e gioco del diavolo nel gioco delle donne; nei riti di potere degli uomini in-animati e sciocchi, della feccia londinese che grida “beautiful women, beautiful women?”. Peccato che la bellezza è solo nel contrasto a colori del passato: il grigio del presente è grigio per sempre.
Non conclude…
Prima nota: forse Sondheim è l’unica persona che poteva esprimere due sentimenti, due modi di sentire diversi, due poli opposti di una matrice unica, il femminile e il maschile, il materno e il paterno. Lo si sente nella scena, lui che tira i fili delle parole appoggiandoli ai suffissi del sentimento che, in quanto tale, è sentire onnicomprensivo, tanto del male, quanto del bene e, al fine di conciliare gli opposti, è sentire anche ironico. Il musical che si fa noir è infatti oltre che vigoroso, anche ammiccante e sorridente, nell’inglese ri(t)mato che coccola le orecchie, a prescindere dai sottotitoli…Bravo Sondheim!
Seconda nota: le performance dei due attori principali sono mirabili: demoniaci, esilaranti eppur tragici, ma più di tutto fiabeschi, co-involti in un canto e in una danza che li compone con mirabile magia (nera?).
Terza nota: interessanti i co-protagonisti, già attori nella saga di Harry Potter (Piton e Codaliscia, se non erro), qui il Giudice Turpin (prima Piton, poi Turpin…) e il Messo, il burbero e il grasso. Due parole sul giudice: uomo disadattato che colleziona immagini di donne e perversioni, perché la perversione domina e uccide anche i bambini (‘sia dato alla corda?’ ‘Era innocente?’ E il messo: ‘senz’altro qualche peccato per cui merita la corda l’avrà commesso’). Il peccato di esistere in una Londra dove si deve stare chiusi, dove si deve essere osservati, dove si è prede o predatori, peraltro non collocati, né gli uni né gli altri esclusivamente dalla parte del Bene e del Male.
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