Titolo: The Call
Titolo originale: The Call
USA: 2012. Regia di: Brad Anderson Genere: Thriller Durata: 94'
Interpreti: Halle Berry, Abigail Breslin, Morris Chestnut, Michael Eklund, David Otunga, Michael Imperioli, Justina Machado, José Zúñiga, Roma Maffia, Evie Thompson, Denise Dowse
Sito web ufficiale: www.call-movie.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: Prossimamente
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Telefonato
The Call su Facebook
Non c'è dubbio che Brad Anderson abbia impegnato in "The Call" le sue migliori doti di regista energico e attento alle atmosfere ("Transsiberian","L'uomo senza sonno","Vanishing on 7th Street"),ma questa volta le buone intenzioni non sono sufficienti a ratificare i talenti del regista.
Ne sortisce che "The Call" è un soporifero estratto di un cinema di classe B,dove l'impulso non si conforma all'esito.
Jordan Turner (Halle Berry),operatrice in un call center del servizio 911 a Los Angeles,risponde a migliaia di chiamate,alcune frivole e capricciose,altre più serie,un lavoro in apparenza statico,ma in realtà fortemente provante e pregno di un senso di responsabilità che corre il rischio di perdersi nelle milioni di parole trasmesse nell'etere.
La valutazione è la sua arma psicologica e il suo mezzo professionale,pur restando seduta ad una scrivania in totale immobilità.
Un giorno Jordan riceve una telefonata disperata da parte di una ragazzina nascosta in casa sua,con un intruso all'interno.
Un errore da parte di Jordan e la ragazzina viene rapita e in seguito trovata morta.
Sei mesi dopo Jordan,non più agli apparecchi,è istruttrice delle reclute,traumatizzata dall'accaduto e travolta dal senso di colpa.
Quando,come in un incubo ricorrente,l'episodio si ripete e una ragazzina di nome Casey (Abigail Breslin) contatta con il cellulare il centro dal baule della macchina del suo rapitore,Jordan,terrorizzata,dapprima si sostituisce all'operatrice che ha risposto alla chiamata,poi segue la sventurata cercando di identificarne la posizione e infine dirige le operazioni di salvataggio e,sorpassata la polizia,interviene personalmente e affronta il serial killer.
C'è molto poco che affascina, in questo compendio di clichès raccolti in uno script (Richard D'Ovidio - "Ferite mortali") che non matura i suoi fermenti e appassisce in lavoro che si rassegna alla mediocrità e al rimpianto per un'occasione sprecata.
E' un peccato per una regia che avrebbe potuto portare ai titoli di coda un film con smalto e spunti di fatto rimasti incompiuti e stoccati come in un deposito di attese disilluse.
L'incipit è intrigante:in una ripresa a volo d'uccello del caos urbano,un intreccio di strade in un formicaio di persone e macchine immerse in luci e travolte dalle voci anonime della moltitudine,Anderson riassume l'anima della metropoli e della sua complessa personalità.
Quasi a controllarne il cuore e il suo funzionamento,la telecamera inquadra il centro di smistamento delle chiamate,un'immensa stanza tecnologica di comunicazione e risposte all'emergenza.
Qui la voce del regista è chiara e il suo messaggio è limpido,ma il tono perde il timbro con il procedere di una narrazione afflitta dai deja vu.
Impossibile non ricordare le sequenze di "Io vi troverò",qui riproposte in copia conforme ,con Liam Neeson al telefono con la figlia nascosta sotto il letto e i rapitori in casa.
Anderson sembra non interpretare la scena per poterla rileggere a modo suo e la confeziona nelle stesse situazioni e circostanze.
Così,l'epilogo drammatico dell'episodio che apre il film è una sfacciata ristampa del "buona fortuna" che chiude la chiamata di Neeson nel film di Morel.
Allora il rapimento di Casey cerca quello di Catherine nel "Silenzio degli innocenti",senza però sperimentarne l'ansia e il brivido e le osservazioni claustrofobiche su Casey invitano alle ossessioni di "Buried",ma senza una vera risoluzione emotiva.
Tra brevi frasi formulate nell'attenzione ai dettagli - la sequenza del braccio di Casey allungato all'esterno della macchina attraverso il fanale posteriore rotto dall'interno del baule - e l'eccessivo piagnisteo della Breslin,il film procede a fatica,con un ritmo che non decolla e implode in un beat routinario e monotono scandito da personaggi senza alcuna empatia e identità.
Nell'epilogo il film conferma la debolezza di un cinema sciupato e l'occasione perduta per uno spettacolo che resta spento e disatteso,dove a rilievo e alchimia si sostituiscono stereotipi e ingranaggi in stato inerziale.
|