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The statement - La sentenza PDF Stampa E-mail
Valutazione utente: / 3
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Scritto da Dario Carta   
giovedì 19 marzo 2009

The statement - La sentenza
Titolo originale: The statement
Canada, Francia: 2003 Regia di: Norman Jewison Genere: Thriller Durata: 120'
Interpreti: Michael Caine, Tilda Swinton, Jeremy Northam, Charlotte Rampling, Alan Bates, John Boswall, Matt Craven, Frank Finlay, Ciaran Hinds
Sito web: www.sonyclassics.com/thestatement
Nelle sale dal: In dvd inedito
Voto: 6
Trailer
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Recensione di: Dario Carta

The statementPierre Brossard,(Michael Caine),è un ufficiale francese della milizia di Vichy,che,nel corso della seconda guerra mondiale,ordina l'esecuzione di sette Ebrei.
50 anni dopo,vive fuggendo da David Manenbaum,(Matt Craven),un cercatore di criminali nazisti incaricato di uccidere Brossard e lasciare sul suo corpo un proclama di "caso chiuso",come vendetta perpretata per riscattare l'assassinio dei sette Ebrei.
Brossard riconosce Manenbaum,lo uccide,ma la sua vita è una fuga senza pace.
Ai titoli di testa del film,segue una breve narrazione che inquadra argomento e periodo storico.
Dopo l'occupazione della Francia da parte dei tedeschi,nel 1940,il regime di Vichy fu affidato al maresciallo Petain.

Nel 1943,il governo di Vichy creò una forza militare chiamata "milizia",per eseguire gli ordini degli occupanti nazisti. Alla fine del conflitto,molti uomini furono processati per crimini di guerra. Alcuni riuscirono a fuggire,altri giunsero al potere.
Lo sceneggiatore Ronald Harwood,("Il pianista"),si ispirò per "The Statement",all'omonimo romanzo di Brian Moore che,a sua volta,si riferisce ai fatti di Paul Touvier,ufficiale della Milizia francese,corpo di polizia statale paragonabile alla Gestapo.
Tra i crimini di guerra di Touvier,ci fu l'esecuzione di sette ostaggi ebrei,nel giugno del '44.
Accusato di tradimento e condannato a morte in contumacia dopo la fine della guerra,Touvier riuscì a fuggire con l'aiuto di un gruppo di sacerdoti cattolici simpatizzanti,che gli procurarono denaro e falsi documenti e lo accolsero in vari rifugi di sicurezza,fra i quali alcuni conventi. Nonostante avesse ottenuto la grazia dal Presidente Pompidou nel 1971,Touvier restò nascosto fino al 1989,per l'accusa imputatagli di crimini contro l'umanità. Arrestato e condannato all'ergastolo,morì in prigione nel 1996.
Nel libro e nel film,Touvier fu rinominato Pierre Brossard.

Le immagini in apertura del film mostrano la cronaca relativa ad una esecuzione,retta da una breve ma efficace narrazione,senza omissioni di inquietanti particolari,che hanno il preciso scopo di inserire l'attenzione dello spettatore nella prospettiva nella quale inquadrare l'intera vicenda.
Una macchina da scrivere in primo piano,che stampa su un foglio le gravi responsabilità che inchiodano un criminale di guerra,segna il passaggio al 1992.
L'epoca è lontana dalla guerra,il ricordo delle morti è sbiadito e l'eco degli spari delle fucilazioni si è dissolta,eppure un vecchio sta fuggendo,pur inserito in una realtà apparentemente tranquilla della provincia francese della Provenza.
Brossard è un uomo infelice e in fuga,sempre sul chi vive e mai assopito.
La pace della campagna e del Convento dove vive,rifugiato,contrasta con il suo animo agitato e tormentato.
Il suo passato è presente,dentro di lui e lo rode dall'interno,privandolo di ogni speranza di gioia e tranquillità.
Braccato in continuazione,(si veda la scena dell'omicidio sulla strada di montagna),Pierre si presenta sempre in una condizione di incessante autodifesa,cui l'uomo ricorre per trovare giustificazione di fronte a Dio e al prossimo.
Le sue colpe passate gravano sul suo animo;Brossard non può averle sepolte negli anni e nonostante il tempo,i fantasmi della sua esistenza trascorsa lo perseguitano,sfinendolo in una situazione di uomo al di fuori dell'ordinario,impossibilitato a trovare aiuto o sollievo dal prossimo e costretto a rifugiarsi in un angolo esistenziale che lo porta ad uccidere ancora.
Il dramma di Brossard è quello di una solitudine sociale che si dilata ad inondare l'intero uomo interiore.
Rimuove in sè gli omicidi commessi,ma continua ad uccidere,nascondendo,subito dopo,l'identità della colpa dietro il bisogno estremo dell'autodifesa.
Dopo l'omicidio commesso in montagna,Brossard,tornato nel Convento nel quale trova riparo,si lava ossessivamente le mani,indicando una sofferenza intima e lacerante che un semplice getto d'acqua non può lavare.

L'intera pellicola è scandita da questo processo dualistico che vede l'io del protagonista letteralmente spaccato in due in un comportamento bipolare che lo porta ad uccidere per difendersi e,subito dopo,ad implorare la Grazia del perdono di Dio.
Lo spettatore si trova allo sbando di sentimenti contrastanti:prima lo sdegno verso un uomo che,nonostante l'età non ha imparato la pietà ed insiste nell'errore,poi la commozione nel vederlo pentito e prostrato davanti al Crocefisso,chiedendo,nel pianto,la Grazia.
Tutta la vicenda di un reduce dalla guerra e macchiato di sangue,si copre di un velo di probabile misticismo tradotto in una Chiesa che protegge un criminale nazista,(che tipo di Chiesa Cattolica,ci si può legittimimamente domandare,se davvero di Chiesa Cattolica si parla),una Chiesa presente nell'animo di un personaggio,(anche qui:è vero Spirito?),ed una religione negata e controversa.
Nella sequenza della colazione fra Anne Marie Livi (Tilda Swinton) e il colonnello Roux,(Jeremy Northam),lei afferma di essere ebrea di madre cattolica,ma si professa decisamente agnostica ed è un'affermazione ferrea,glaciale,che va al di là di una semplice informazione colloquiale.
Sembra quasi che l'apporto della religione come mezzo per condurre a Dio,sia,in qesta pellicola,ragione di contraddizione ed equivoco.
"Brossard è un assassino - dice Roux - e gode di protezione altolocata,perche?Grazie alla Chiesa,che può averlo aiutato,ma ci può essere qualcun altro,considerato molto in alto,insospettabile ed anziano,con un passato da nascondere,responsabile della morte di molti ebrei francesi,inserito nel Governo".
L'ulteriore indizio,dato dall'entrata in scena del Governo,complica la vicenda,che già appariva piuttosto arruffata in precedenza.
Si mescolano commissari e sacerdoti,coinvolgimenti clericali ed intrighi politici,confessioni sacre e laiche in uno spirito grottesco,che a metà film corrono il rischio di appesantire un piatto già di per sè difficile da digerire.
La disordinata miscela di Sacro e profano è completa,quando si comincia a parlare dell'ennesimo Ordine para-ecclesiale.

I"Cavalieri di Santa Maria",chiamano sul banco dei testimoni un devoto assertore di queste organizzazioni ed allo stesso tempo fautore della forma mentis letteraria oggi prediletta dagli amanti del genere fanta ecclesiale:Dan Brown,che,con i suoi romanzi è stato capace di rimaneggiare Verità e Crismi,rivisitandoli in chiave romanzesca,con risvolti esoterici,adattandoli ad un gusto oggi ansiosamente alla ricerca del del profano e di una irriverente approccio all Sacralità.
Nel clima creato nel film,di accusa alla struttura della Chiesa,di favoreggiamento ed ostacolo alla Giustizia,corre il rischio di smarrirsi la difesa del cardinale,che afferma di avere due precisi doveri:quello di assicurarsi che la Chiesa non venga vista come un'istituzione che protegge chi è accusato di violare i diritti umani e quello di scoprire chi ha dato asilo al ricercato,"per porre fine alla vicenda".
Nel suo soliloquio finale,Caine si rammarica di non poter fuggire lontano,in un posto dove non è mai stato,quasi a ricordare come ogni luogo,nella sua vita,sia contraddistinto dalla triste condizione di fuggiasco.
Il rintocco di una campana sembra riportarlo ad una realtà dalla quale appare essere stato rapito e l'uomo formula la sua decisione secondo la quale deve stare vicino alla Chiesa,che è il suo unico "nascondiglio".
Anche qui,colpisce l'ambiguità della posizione di Brossard.
E' discutibile il suo totale coinvolgimento in una intima fede in Dio,adombrato dal mero interesse di una protezione solo fisica e niente affatto spirituale.
Allo stesso modo,l'attimo di preghiera e di supplica di Brossard alla Vergine,non si accorda con il suo comportamento nell'istante successivo,che lo vede allontanare con ira il cane,che lo ostacola.
Quel continuo altalenarsi di situazioni comportamentali opposte,definisce il personaggio di Pierre,posizionandolo in uno stato sfasato di equilibrio instabile.
A dare corpo al film,non è la storia di un uomo braccato da un passato che non riesce a morire,ma l'uomo stesso,con le sue prevaricazioni e le sue controversie. E' un uomo che è portato alla deriva dalla sua stessa vita trascorsa,della quale non riesce a disfarsi,come un pesante fardello che una condanna gli ha posto sulle spalle e che graverà su di lui in eterno.
Ma quest'uomo è segnato da un destino ancor più angosciante:il segno di un'anima ambigua e contradditoria che sembra non trovare pace in un continuo fluttuare tra colpa e redenzione.
La Swinton porta avanti il suo personaggio di giudice togato in un fanatismo moraleggiante,ma il suo impegno si disperde nell'inconsistenza della trama.
Michael Caine,nell'estate indiana della sua carriera,si dilata dalle intense suppliche a Dio alle fredde reazioni che lo portano ad uccidere.
Il rischio è di perdere credibilità,cosa possibile anche al migliore attore messo alle strette da una sceneggiatura di discutibile efficacia.

Il film prende spunto da una tematica urgente e grave,che eccheggia di eco dolorose,già sviluppate da altre pellicole("Vincitori e vinti","Il maratoneta","I ragazzi venuti dal Brasile"),per approfondire gli aspetti contradditori di un uomo schiavo di un'ossessione.
La narrazione dei fatti del film e del romanzo è inserita in un'ambientazione di fantasia romanzata,assolutamente discutibile e libera da aspetti realistici di ogni tipo,ma che fanno da contorno al dramma del protagonista.
Ci si può ragionevolmente domandare dove si posizioni la sottile linea fra perdono e giustizia.
La risonanza di ideologie nefaste e deteriorate non sembra cessare di affliggere una società marcata dal passaggio di molte generazioni.
E nonostante in primo piano debba sempre essere posta la dignità umana,il pensiero non può non ricorrere al concetto di oblìo,dimenticanza e indulto.
Colpe commesse 50 o 60 anni or sono,possono e forse debbono essere tutt'oggi perseguibili,ma come coniugare questa realtà con la considerazione che l'umana natura sia suscettibile di profondi mutamenti interiori e possa troversi nella condizione di pentimento e redenzione in situazioni non compatibili con la realtà di 50 prima?
Eppure il perdono umano,per quanto grande possa essere,non ha l'impronta infinita di una dote divina e il pensiero si volge al rapporto fra l'umana natura,ove si agitano inquieti i sentimenti di vendetta e indulto e la Grazia di un'assoluzione Divina,solo davanti alla quale esiste la totale possibilità di redenzione.

 
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