Un alibi perfetto
Titolo originale: Beyond a Reasonable Doubt
USA: 2009 Regia di: Peter Hyams Genere: Thriller Durata: 105'
Interpreti: Michael Douglas, Jesse Metcalfe, Amber Tamblyn, Orlando Jones, Joel Moore, Michael C. "Mike" Allen, David Born, Krystal Mayo, Edrick Browne, Megan Brown
Sito web: www.beyondareasonabledoubtmovie.com
Nelle sale dal: 13/11/2009
Voto: 4
Trailer
Recensione di: Roberto Fedeli
L'aggettivo ideale: Sbiadito
Un alibi perfetto non vuole essere un remake fedele de “l’alibi era perfetto” di Fritz Lang , ma piuttosto mira a presentarsi come lo specchio del giallo processuale.
Questo sottogenere, erede di capolavori quali “testimone d’accusa” e “la parola ai giurati”, non riesce però in questo caso a scrollarsi di dosso l’iconografia della mera emulazione.
Il newyorkese Peter Hyams, perennamente in bilico tra la fantascienza(“2010”, “Timecop”) ed il thriller (“condannato a morte per mancanza di indizi”), racconta il piano ordito da un rampante giornalista in cerca di un grande scoop.
Il protagonista C.J. si fa arrestare per l’omicidio di una prostituta, lasciando tutte le prove indiziarie a suo carico. Parallelamente, assieme ad un suo collega, registra su di un dvd le immagini della sua innocenza, che incastreranno il cinico procuratore quando presenterà in tribunale le prove contraffatte. Nonostante un intreccio ben congeniato, l’anima thriller della pellicola decolla soltanto nella parte finale, quando l’amante del protagonista scopre il vero enigma che lega la vittima con l’apparente innocenza dell’amato.
La pellicola in questione presenta numerosi cliché linguistici, strutturali e narrativi, che ne alienano tutto il pathos ed il mistero. L’innocente colpevole che, dietro il vetro della cella, poggia la sua mano su quella dell’amata che dispensa lacrime, ci riporta all’”american gigolo” di Schrader; la macchina assassina guidata dal braccio destro del procuratore, che cerca di uccidere la donna, sembra “Christine la macchina infernale” di Carpenter. Per non parlare del colpo di scena finale che segna il tributo indelebile verso tutti i noir polizieschi degli anni 40.
Peter Hyams tratteggia ossessivamente la storia d’amore tra i due protagonisti meno espressivi della storia del cinema, relegando al ruolo di tritagonista un Michael Douglas che attraverso poche espressioni riesce ancora a riempire lo schermo dopo trenta anni di onorata carriera.
Comprendo la difficoltà nell’emulare un intero sottogenere come il giallo processuale, ma la riuscita dell’operazione passa attraverso due uniche vie: imitare o trascendere. L’imitazione deve conservare il canovaccio del prototipo di genere e trarre la propria forza proprio da tale sinonimia; questo accade con successo in “Libera” di Corsicato, che fonde i sapori di Almodovar con la commedia all’italiana di Pietrangeli. In opere come “Vive L’amour” di Tsai Ming-liang si prende invece l’incomunicabilità di Antonioni e l’intreccio alla Truffaut, per trascenderli entrambi nell’erotismo e nel sentimentalismo all’avanguardia del cinema orientale.
Un alibi perfetto non esegue nessuna delle due azioni, nuotando nel limbo tra un intreccio cinematografico ed una fotografia da fiction televisiva.
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