Vital |
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Scritto da Anna Maria Pelella | |
domenica 26 agosto 2007 | |
Vital
Hiroshi sopravvive ad uno spaventoso
incidente d’auto nel quale perde la fidanzata.
Fino a che punto un'amnesia ci può
proteggere da ricordi dolorosi? E' lecito da parte di un medico
tentare di indurre il recupero del passato per avviare una
guarigione, anche se tutto questo non è stato mai richiesto dal
paziente? I ricordi possono tenere in vita una persona morta? Questi sono soltanto alcuni degli
interrogativi posti durante tutta la prima parte di quello che
finisce per essere un'immensa riflessione circa il potere della mente
e il desiderio dell'uomo di trascenderlo. E nella rappresentazione di tali
interrogativi Tsukamoto è un genio, diciamolo senza mezzi termini.
Chi altrimenti potrebbe sezionare l’animo umano con una tale
chirurgica precisione senza scivolare nel morboso o, peggio nel
melodramma? La riflessione si svolge lenta e
intimamente connessa ai probabili tempi di guarigione di un cuore
afflitto e di una mente in fuga da quell'afflizione. Hiroshi vive il dramma della memoria
della perdita a partire da una forzata dimenticanza, mentre la sua
fidanzata acquista una consistenza che le era estranea in vita, una
vitalità che neanche un personaggio di Poe, di quelli che tornano
dall'Oltre potrebbe avere.
Hiroshi vive ogni giorno il
ritrovamento dell’amata ed il suo abbandono, lei per contro non
sembra consapevole della sua morte ma, paradossalmente, soltanto del
fatto che è lui a tenere viva la sua esistenza attraverso il
ricordo. E il contrasto tra l'aspetto diurno del dramma, che si
svolge tutto nell'ospedale freddo e asettico, con quello onirico
sulle spiagge di un mare che in realtà tutto avvolge e contiene, dal
momento che si tratta dell'inconscio stesso, è tale da imporre una
scelta, sia al protagonista che allo spettatore. E trattandosi del lavoro di uno dei più
geniali cineasti della sua generazione, sarà facile e oltretutto
naturale prendere la strada che ci porterà più lontano dal
quotidiano rassicurante di cui spesso ammantiamo le nostre angosce.
Il rituale di accompagnamento dei corpi
sezionati alla loro dimora ultima è poesia pura, impensabile in una
società diversa da quella. Un rituale che rappresenta l’idea
stessa di superamento del concetto di sepolcro in senso foscoliano. Ed è con la cremazione di un corpo che
in realtà era divenuto più vivo dopo la morte stessa, che Hiroshi
opera il seppellimento definitivo di un aspetto della sua vita:
quello del sogno di un'amore che trascende le barriere del tempo e si
situa all'interno di un universo immutabile e come tale mai
raggiungibile, se non attraverso la morte stessa.
Gli attori sono assolutamente
strepitosi nella loro totale accettazione della convivenza col dramma
della caducità.
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